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Nonostante mi senta indegna di ciò che sto per fare, parto con Fred per andare in ufficio, nella speranza di riuscire a parlare con Christian, nonostante sappia benissimo di averlo respinto troppe volte, nonostante il senso di inadeguatezza e indegnità che sento.
Fred si ferma davanti alla porta bianca.
«Credo sia meglio che vi lasci soli», riflette, voltandosi verso di me.
Lo guardo, tra il terrore e la follia della speranza.
Non rispondo, ma è come se annuissi.
Fred mi sorride rassicurante.
«Puoi sempre fuggire», mi assicura, ammiccando.
Mi sfugge una risatina nervosa, prima che lui si volti e vada chissà dove.

Torno a fissare il legno candido della porta.
Respiro profondamente.
Se Christian non mi perdonasse, se Christian non mi volesse parlare, non so cosa ne sarebbe della mia sanità mentale.
E dipende tutto da questo momento.
Dipende tutto da adesso.
Quando aprirò la porta ogni cosa cambierà.
E potrebbe diventare mostruosa, o rivelarsi un incanto.
Devo solo aprire questa porta.
Ed è proprio per questo che non voglio farlo.
Estenderò l'istante dell'indecisione fino a quando il coraggio non mi farà sentire la sua palese presenza nelle vene. Ho bisogno di sperare, e nell'indecisione c'è la possibilità di tutto, c'è posto per la speranza, per il cambiamento.
Ora che tutto può accadere, in bene e in male, non credo più a nulla.
E non voglio altro che imprimere questo istante nella memoria.
Adesso, oggi, ho davanti a me più di una scelta, più di una possibilità, e per la prima volta non posso dire con certezza cosa accadrà.
Mi piace.
Voglio godermi questa sensazione e fino a quando non mi sentirò appagata, non aprirò questa porta.
Voglio saziarmi di questa nuova visione della vita.
E ci riesco.
Finalmente, dopo troppo tempo, ho capito di poter decidere cosa fare di me, ed ho deciso.
Voglio lottare.
Lottare per me stessa.
Lottare per la mia felicità.
Poggio la mano sulla maniglia, trattengo il fiato...
La porta si spalanca.

Ma non sono stata io ad aprirla.

Vanessa, davanti a me, con in volto un'espressione soddisfatta, mi sorride.
«Oh, buongiorno Golden, ben tornata», mi saluta, felice.
Estremamente felice.
E non dovrebbe esserlo.
Non dopo tutto quello che Christian mi ha detto su di lei a New York.
Christian ha detto di aver scelto me, ha detto che lo avrebbe fatto sapere a Vanessa, che lei ci sarebbe rimasta male, che probabilmente avrebbe sofferto ancora, che avrebbe continuato a farla soffrire e quasi sicuramente l'avrebbe odiato.
Non mi sembra che Vanessa sia anche minimamente dispiaciuta.
Vanessa non sa niente o Christian ha scelto lei invece che me...
Non riesco neanche a salutarla, che lo sguardo mi cade sulla figura di Christian.
In piedi accanto alla sua scrivania, guarda verso di me.
Vanessa riserva un'ultima occhiata a me e poi a Christian, in fine ci lascia soli.
Rimango sulla soglia della porta.
Non so cosa fare.
Mi sento immobilizzata, incapace di capire.
Dovrei andarmene, la parte più istintiva di me mi suggerisce questo.
Christian non è stato sincero, ma vorrei capire perché, e questo desiderio mi spinge a restare.
Così orgoglio ed empatia si scontrano come treni che deragliano su delle rotaie costruite apposta per farli schiantare l'uno contro l'altro.
«Golden!», esclama Christian, venendomi in contro.
Il mio corpo indietreggia, come se da oggi potesse muoversi senza che io me ne accorga.
«Immagino cosa stai pensando», abbassa lo sguardo, in imbarazzo.
«Non credo», rispondo.
Non può immaginare cosa penso, perché in questo momento non riesco a pensare a nulla.
«Posso parlarti?», mi domanda, senza riuscire a guardarmi di nuovo negli occhi.
Che strano...
Fino a pochi istanti fa credevo che a parlare sarei stata io.
Ed ancora una volta le cose vanno in un modo completamente diverso da quello che io avevo immaginato.
Lo seguo dentro l'ufficio.
Va a sedersi sul divano, lì, accanto a dove di solito mi siedo io.
So che lo ha fatto per farmi sedere accanto a lui, ma non so se lo voglio.
L'alternativa è restare in piedi.
E credo che la accoglierò a braccia aperte.

Christian mi guarda, deluso e ferito, ma non so più cosa pensare, ed è questo che ora mi fa paura più di ogni altra cosa.
L'indecisione, l'incertezza, il bilico di un corpo a metà tra due scenari orrendi.
Non c'è speranza, solo nebbia, e cecità.
«Quello che ti ho detto a New York non è cambiato, è stata Vanessa a cambiare le condizioni», inizia, alzando lo sguardo verso di me.
«Non credo voglia dirmi addio, pensa sia meglio continuare ad essere mia amica, piuttosto che... tornare ad essere estranei, se davvero fosse possibile», continua, facendomi segno di sedermi accanto a lui.
La sua spiegazione è così semplice, e sembra così credibile, da essere sospetta.
Ma non ho motivo per dubitare di lui.
Lo ascolto e mi siedo.

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora