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È così insopportabile sentirsi obbligati a soddisfare i propri bisogni e poi non riuscire ad accettarne le conseguenze.
Desidero stare sola, vorrei vedere il mondo scomparire, cadere nel buio e diventare invisibile, ma la solitudine mi spaventa allo stesso modo della compagnia degli altri.
Inizio a temere di non riuscire più a liberarmi della mia depressione, e la cosa che più mi fa paura è il mio sentirmi impotente.
Non riesco a capire fino a quanto spingermi ed essere coraggiosa, o per quanto ancora dovrò rintanarmi nel mio sottilissimo guscio costruito interamente di silenzio, prima di sentirmi pronta per tornare nel mondo.
Non riesco a comprendere più nulla.
Il motivo per il quale i fiori sbocciano mi sfugge, e con esso anche la ragione per la quale il sole continua a sorgere per poi tramontare, e la luna riflette inesorabile i raggi della stella più luminosa del cielo da millenni, senza stancarsi, o domandarsi perché, o magari, cercare di cambiare.
Per non parlare poi del motivo per il quale ci svegliamo ogni giorno, forse è fisicamente impossibile dormire per sempre, a meno che non si entri in un profondissimo stato di coma, ma che poi in quel modo non sarebbe neanche più vita, comunque non riesco a cogliere la spiegazione che ci fa correre ogni giorno in ufficio, o da qualsiasi altra parte.
Soldi?
Famiglia?
Forse... ma una volta guadagnato, una volta messi al mondo dei figli, cosa si fa?
Si muore.
E posso davvero avere la presunzione di credere al fatto che la mia vita sia davvero stata utile?
Cosa ho cambiato nel mondo?
Il niente totale.
Nessuno cambia mai niente, ma ciò che accade cambia sempre tutti.
Ed una volta cambiati, cosa si fa?
Si crede di poter stare meglio, ed invece io sto solo peggio.
Tutto, ma proprio tutto, non ha più nessun valore.
La morte cancella ogni cosa, ed allora mi domando se sia vero che a contare sia il viaggio, e non la meta.
Il viaggio è importante, sì, potrebbe esserlo, se solo non fosse dimenticato nel preciso istante in cui un altro verrà intrapreso.
E allora?
A cosa serve tutta questa mia sofferenza?

«Alba», la voce di Fred sembra arrivare da un altro mondo, quello in cui le persone sperano ancora in qualcosa.
«Alba, ti prego fammi entrare», so che non si riferisce alla porta della stanza, non completamente.
Vuole capire me.
«So come ti senti...», inizia, ma Jace lo interrompe.
«Papà, perché l'hai portata a casa?», la voce di Jace mi bastona, e lo fa colpendomi lì dove ho già male, facendo riaffiorare i lividi che tentano invano di guarire.
«Jace, sta' zitto, fai le valigie e vattene», lo rimprovera Fred.
«Lo so papà, non sono mai stato il tuo figlio preferito», conclude Jace, e lo sento allontanarsi.
Fred inspira rumorosamente, prima di riappoggiarsi alla porta.
«Posso entrare, Alba?», domanda ancora.
Non rispondo, mi accascio ai piedi del letto e abbraccio le ginocchia, stringendole contro il petto.
Il silenzio mi vortica intorno come polvere quasi invisibile, e credo che da un momento all'altro la porta della stanza si aprirà, permettendo a Fred di raggiungermi.
«Vorrei poterti aiutare... so com'è, sentirsi nulla disperso nel nulla», nulla disperso nel nulla, sì, proprio così.
Esseri insignificanti.
Moribondi dal giorno stesso della nascita, pellegrini tutti volti a raggiungere una stessa meta senza aver avuto la possibilità di sceglierla, e la cosa peggiore è non poter scegliere neanche come arrivarci.
Schiava.
È questo che sono.
Schiava di tutto.
Dell'aria, del calore, del cibo, della moda, della mente, delle parole, ma senza saperlo.
Sono ciò che sono, ma non ne sono consapevole, perché mai ho avuto il coraggio di ammettere una verità che neanche io voglio ascoltare.
«Non ho fretta, Alba, ho già lasciato andare via una volta, non sbaglierò di nuovo», mi promette, e poi anche lui si allontana.
Se le sue parole fossero state pronunciate da Di Lauro, o da Roger, mi avrebbero fatto rabbrividire, ma Fred... la sua voce è così rassicurante, così calda e profondamente vicina, che non mi impaurisce.

D'improvviso il mondo risorge, e anche se la natura potrebbe non avere alcun senso, vedere l'erba crescere e i fiori sbocciare infonde un senso di gioia e positività inevitabile.
Vorrei uscire dalla stanza e correre da lui, chiedergli cosa intende ogni volta che mi parla, e cercare di capire il modo attraverso il quale lui pensa che io possa superare tutto questo.
Non avrei il coraggio di dirgli la verità, ma forse potrebbe non essere necessario.
Non ho più voglia di pensare.
Non ho più voglia di piangere, né di sorridere.
Il sonno è la grande benedizione, e forse non si potrà dormire per sempre, ma almeno si può dormire.

Ho freddo, l'aria sembra fatta da perle di ghiaccio tagliente, ed il vento le fa strisciare contro la mia pelle, strappando gli abiti troppo leggeri e ferendomi come ormai dovrei essere abituata ad essere ferita.
Ma ci si può davvero abituare al dolore?
Lo vorrei...
«Mamma», è il grido sottile di un bambino in lontananza, mi volto, nonostante la consapevolezza di non poter vedere nulla.
C'è una nebbia azzurrina troppo fitta, e mi avvolge, si appiccica ai miei capelli e penetra la stoffa stracciata che aderisce al mio corpo.
Oso muovermi e cerco di fare un passo, l'aria mi finisce addosso, e quando colpisce il viso, il dolore si fa ancora più straziante.
Il bambino piange, sento i suoi singhiozzi, devo raggiungerlo, ma non so dove si trovi.
Immagino le sue lacrime, la sua paura, solo in un mondo come questo, perché avere una madre come me non può essere davvero di conforto.
«Mamma», ripete, ma la sua voce si affievolisce, sta morendo, sento il suo cuore.
È nelle mie orecchie, pompa nel mio petto.
È anche il mio, e so che sta morendo.
Inizio a piangere, a piangere per lui, perché so che se è morto è principalmente colpa mia.
Ho pensato solo al mio dolore, senza prestare attenzione alle sue suppliche, ma l'aria era così tagliente...
Avrei potuto raggiungerlo, se avessi voluto, o il ghiaccio affilato dell'aria mi avrebbe uccisa prima ancora di averlo trovato?
E cosa avrei potuto donargli?
Ma pensare a cosa sarebbe potuto essere non cambia ciò che in realtà è accaduto.
Il bambino è morto ed io sono morta con lui.

Mi risveglio, le guance bagnate e gli occhi stanchi.
Non avevo mai pianto nel sonno...
La stanza è buia, devo aver dormito per tutto il pomeriggio.
Non è la prima volta che sento la voce di un bambino, mio figlio, ma oggi è stato ancora più terribile.
Scendo dal letto e cerco l'interruttore della luce.
Inciampo nel tappeto prima di trovarlo, accanto alla porta.
La stanza si illumina, ma nulla cambia.
Esco in corridoio, in cerca di un po' di aria, e sul mobile affiancato alla parete trovo un biglietto con su scritto il mio nome, Alba.

È il diario di una persona molto speciale, sarei felice se lo leggessi, a me fece bene, mi auguro possa avere lo stesso effetto su di te. Questo pomeriggio torno in ufficio, spero tu abbia fatto buon riposo, quando lo troverai.
Fred

Sotto al biglietto c'è il diario di cui mi ha parlato.
È semplice, e piuttosto compatto, appena più grande del palmo della mia mano.
La copertina è rigida e non ha scritte, è solo nera, ma gli angoli sono un po' sgualciti e lasciano intravedere il bianco del cartoncino.
Prendo sia il quadernino che il biglietto e torno nella mia stanza.
Mi allungo sul letto disfatto ed inizio a leggere.
È scritto con penne diverse, ed in corsivo, ma sembra la scrittura di una ragazza...

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Ad essere sincera i tormenti di Golden iniziano a stancarmi😅 ma so che manca poco.
Di chi sarà quel diario? Cosa c'è scritto al suo interno?

Intanto vi lascio i miei 1320 baci DREAMERS!😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘
Ricordandovi che nel mio profilo potete trovare altre storie, completamente diverse da questa❤

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora