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È da una settimana che mi siedo agli angoli della strada, con un bicchiere davanti alle ginocchia, pregando i passanti perché mi regalino qualche spicciolo, ma è difficile riceve più di cinque euro al giorno.
La cosa più straziante, però, è il fatto che sto male, in qualsiasi modo vada.
Se mi lasciano dei soldi capisco di essere in torto, ma se non lo fanno non ho da mangiare.
Sono diventata come quei barboni che, quel giorno di tre vite fa, vidi per le strade di Roma, passando con l'auto di Roger, diretta alla sua barca, inconsapevole del fatto che stavo andando incontro all'inferno.
Sembravano corpi senza anima, senza vita, zombie, burattini guidati da un maestro disumano, non in grado di comprendere la bellezza di un essere felice, la perfezione che lo colma, e le speranze che lo inducono a respirare, facendogli persino superare il dolore.
Ed ora sono una di loro.
Cerco dei posti isolati per la notte, non voglio compagnia, ma sono costretta a spostarmi spesso perché dopo un po' di giorni nella stessa via non si guadagna più nulla.

Una notte incontro dei tizi, o meglio, sono loro ad incontrare me, mi vengono incontro, non posso andarmene, perché la strada non ha uscita.
Ripenso a dove ho messo i soldi, sono nel mio reggiseno, al sicuro.
Non sono più di venti euro, ma a me bastano per una settimana. Di solito mangio un frutto, o dei crakers, merendine...
Non tocco un piatto di pasta da quando me ne sono andata di casa, mentre la carne è da meno tempo, ma comunque troppo, perché non ne ricordo più il sapore.
Gli uomini, due, mi si avvicinano.
Quello a sinistra sembra giovane, non più di quarant'anni, barba incolta e capelli arruffati, il viso sporco di chissà cosa, i vestiti luridi e le scarpe senza lacci, trovate in qualche cassonetto, probabilmente.
L'altro, invece, potrebbe avere sessant'anni, barba e capelli completamente canuti, credo sia strabico, o forse avrebbe soltanto bisogno di un paio di occhiali.
Mi raggiungono, sorridono, si scambiano uno sguardo e poi il più giovane mi viene accanto.
«Hei... bella», dice, posando una mano sulla mia spalla, facendomi rabbrividire.
Puzza di alcool, di sudore, di fogna...
Mi viene la nausea, ma non voglio che mi accada di nuovo, potrò impedirlo?
L'uomo sospira e poi affonda la sua testa nell'incavo del mio collo.
È alto come me, e non ho problemi a dargli un cazzotto nello stomaco, ma l'altro mi afferra da dietro.
Inizio a scalciare, mentre il più giovane mi si riavvicina e mi tira i capelli, fino a farmi piegare il viso all'indietro.
Riprende a baciarmi il collo, insudiciandomi del suo stesso fetore.
Il mio respiro si affanna, la notte si fa più scura, ho paura di svenire, ma non posso permettermelo.
Continuo a tirare calci, e questo infastidisce entrambi, che decidono di cambiare metodo.
Il canuto mi lascia andare, mentre l'altro mi tira a terra, montandomi sopra, ricordandomi Roger.
Grido, ma so che non verrà nessuno, non è mai arrivato.
I senza tetto scelgono questi posti proprio perché sono isolati, lontani dal mondo che non li accetta.
Il mio aggressore riprende a baciarmi, poi, con violenza, apre il giubbetto che indosso, ma non me lo sfila.
Porta una mano sui miei fianchi, mentre l'altra scorre dappertutto, ed io non posso fermarla in nessun modo, quando mi sfiora la pancia vengo percossa da un brivido e sobbalzo, prima che lui la faccia scendere ancora più giù.
Scalciare non serve a nulla, adesso, e neanche prenderlo a schiaffi, o a pugni, sembra una buona idea, avendo le mani intrappolate tra quelle dello strabico.
L'uomo continua a respirarmi addosso, a bagnarmi della sua saliva piena di alcol e poi mi toglie sia giubbetto che maglia, lasciandomi in canottiera e reggiseno.
Il suo sguardo si illumina nel vedere il sacchettino di soldi.
«Eccolo... peccato, però», dice all'amico, rubandomi i soldi e ficcandoseli in tasca.
Credo che se ne andranno adesso, hanno avuto ciò che volevano.
Ed invece l'uomo mi bacia ancora, quasi completamente sdraiato sopra di me, si muove come se non riuscisse più a controllarsi. Struscia su di me nello stesso modo in cui i gatti si affilano le unghie contro i piedi delle sedie, senza nessun ritmo.
Mi percuote in ogni parte, non mi sento più le mani, e spero solo di riuscire a sopravvivere.
O sarebbe meglio morire?
Sento un ultimo bacio sul petto e poi non avverto più il suo peso sopra di me.
Se ne stanno andando?!
«Ringraziami per non essere andato oltre, ragazzina, sei troppo giovane per questa vita...», mi dice, porgendomi una mano per aiutarmi a tornare in piedi.
Non la afferro e resto dove sono, dovrei davvero dirgli grazie?
Lo strabico mi lascia andare le mani e va accanto al compagno, che ancora mi sta osservando, e non capisco perché.
Sembra che cerchi qualcosa, o che l'abbia trovata, in me.
«Tieni, riprenditeli, considerali un grazie per il divertimento», mi lancia contro il sacchetto con i soldi, e io non riesco ad afferrarlo, tanto sono scossa.
L'uomo si inginocchia davanti a me.
«Se hai ancora i genitori, torna da loro, non potrà essere peggio di questo, perché io... non credo che una ragazza bella come te non avrebbe nessuna opportunità per tornare alla vita», la sua voce è... rassicurante, anche se le sue parole non sono molto corrette, e il suo alito continua a puzzare di alcol.
Sono sicura di star male, non posso pensare una cosa del genere dell'uomo che mi ha quasi violentata e derubata.
Lo osservo, gli occhi che non sanno dove posarsi, su quel viso sconosciuto.
Gli zigomi sono alti e definiti, gli occhi marroni come quelli di mia madre...
Forse mi sono sbagliata, non li ha quarant'anni.
«Una ragazza come te non la merita una vita come questa», conclude, alzandosi in piedi, dandomi le spalle, pronto ad andarsene.
Sono ormai lontani, stanno per svoltare l'angolo, quando sento un impulso irrefrenabile di ringraziarlo.
«Grazie», sospiro, sicura che non possa sentirmi, ed invece lo vedo voltarsi e sorridere, mostrando dei denti marci, prima di scomparire per sempre.

È di nuovo giorno, e sono di nuovo in un angolo della strada, pronta ad umiliarmi, pur di racimolare qualcosa.
Perché è così che va, i passanti ti umiliano, ma non perché non ti danno i soldi che chiedi loro, ma perché ti guardano con disprezzo, ti ucciderebbero, se potessero, ti farebbero scomparire il prima possibile, pur di non farti vedere ai loro figli, come se potessi attaccare loro la peste, o indurli a commettere il peggiore dei crimini.
Credono che io non sia come loro, che io non abbia dei sentimenti, che io non avverta il dolore, e pensano che la nostra vita sia così perché l'abbiamo deciso noi, mentre per loro è tutto diverso, la loro vita dipende solo dal destino, dagli altri.
Forse è vero, anzi, lo è sicuramente, ho deciso io di fare questa vita, pur di non tornare a casa, ma... non avrei mai fatto questa scelta, se qualcuno mi avesse amata un po' di più, fatta sentire accettata.
Ed io non mi lamento, se non ricevo soldi, hanno ragione a non darmeli, so di non meritarli, so che ciò che faccio è come rubare dal loro portafogli con il loro consenso, però ciò che non sopporto, è il loro atteggiamento da superiori, come se a loro non potesse mai capitare di ritrovarsi soli, come se io e loro facessimo parte di mondi diversi, e noi fossimo gli inferiori.
Solo questo vorrei che cambiasse, non dovermi sentire, ogni giorno, più colpevole e meno umana.
La solitudine mi sta bene, la povertà anche, se la ricchezza significa superficialità.
Se non possiedi nulla, è tutto più semplice, sai di non poter perdere nulla, ed essere gentile riesce più semplice.
Non riesco a dimenticare ciò che mi ha detto quell'uomo, ieri sera.
Vorrei tanto che avesse ragione, ed in fondo, è stato più gentile lui, un senzatetto, di tutti gli altri uomini che ho incontrato.
Roger non si è fermato quella sera, uccidendomi.
Di Lauro non si sarebbe mai fermato, se io non fossi riuscita a fuggire, più di una volta, ma è comunque riuscito ad uccidermi.
E cadendo nella fuga ho perso mio figlio, e sono morta per la terza volta.
Ieri sera, invece, credo di aver recuperato una vita, mi sento rinata, capisco che forse non sono poi così sbagliata, che non merito ciò che gli altri mi avrebbero fatto volentieri.
Quell'uomo, probabilmente, aveva bisogno di soldi tanto quanto me, e se solo riuscissi di nuovo a fidarmi, sono sicura che avrei diviso volentieri con lui i miei.

Poche volte alzo gli occhi al cielo, solo quando temo di dimenticarne il colore, perché di solito il mio capo è chino e i miei occhi non vedono altro che le suole lucide dei passanti, le caviglie sottili delle donne sui tacchi, e gli orli dei pantaloni degli uomini.
Se ripenso a quanto tempo è che non mi cambio di abito provo ribrezzo persino per me stessa.
Indosso ancora gli stessi abiti di quando me ne sono andata di casa.
Jeans e camicia, sopra alla quale metto il giubbetto.
I capelli devono essere un disastro, è da settimane che non li lavo.
Inizialmente li ripulivo una o due volte a settimana, di notte, nelle fontane, ma adesso che si avvicina il freddo, rischio di ammalarmi e non posso permettermelo.
Tutto questo non ha più logica, come posso ancora sperare che qualcosa cambi?
Ho capito che le uniche due possibilità, per il mio futuro, sono tornare a casa, o restare per sempre sulla strada, ma una mi mette più paura dell'altra, e so che non riuscirò mai a decidermi, se qualcuno non sceglierà per me.
Ma chi?

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GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora