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Il ristorante in cui andiamo si trova vicino alla fontana di Trevi, sembra un posto molto elegante.
«È così noioso a volte... il lavoro, sono contento di averti assunto», mi confessa, dopo avermi fatto accomodare a tavola.
Sorrido timidamente e rispondo con un grazie.
Il signor Di Lauro ordina una cena da cinque portate.
«Dopotutto, siamo in tre», si spiega.
Non riesco ad abituarmi alle sue attenzioni, perché non le comprendo.
Per quale motivo dovrebbe comportarsi in modo così gentile, con me?
Non credo neanche di meritarlo...

Per tutta la cena non fa che parlare della famiglia, dei figli che ormai hanno intrapreso le loro strade, e poi del lavoro che non lo soddisfa più come un tempo.
Non so cosa rispondere, perché le sue non sono domande, ma semplici osservazioni, e cosa si risponde ad un'osservazione che non si condivide?
Mi limito ad offrirgli mezzi sorrisi e senni di assenso, e lui sembra accontentarsi.
«Ti riporto a casa?», mi propone, mentre usciamo dal ristorante, stracolmi di cibo, per quanto mi riguarda.
«No, non c'è n'è bisogno, prendo un taxi», ha già insistito per pagarmi la cena, e non dimentico che ieri mi ha offerto la colazione, non voglio sembrargli una che se ne approfitta.
«Oh, ma non ti preoccupare, te l'ho detto, a casa non mi aspetta nessuno», ribatte, avvicinandomisi.
Devo rifiutare, o non saprò mai come sdebitarmi.
«Insisto, non voglio scomodarti».
«Allora è deciso, ti riaccompagno, nessuno scomodo», conclude, prendendomi sottobraccio e accompagnandomi fino alla sua auto.
Posso davvero rifiutare ancora, senza sembrare sgarbata?
In fondo io non gli ho mai chiesto nulla...

Saliamo in macchina.
Il signor Di Lauro mette in moto, gli indico dove deve andare, e lui sembra sapere come arrivarci senza perdersi nelle mille strade di Roma.
Almeno questo mi rassicura.
«Ecco, siamo arrivati», affermo, sporgendomi sul sedile per osservare il palazzo in cui abito dal parabrezza.
Alcune stanze sono illuminate ai piani superiori, ma non si sente nessun suono, eccetto il rombo del motore, che viene smorzato di colpo dal notaio.
Spegne la macchina e si volta verso di me.
Sono pronta a ringraziarlo e a salutarlo, gli sorrido.
«Non ho mai visto una donna incinta bella come te...», sospira, nella semi oscurità dell'abitacolo.
«Mia moglie non è mai stata come te, lei non è mai stata bella, una stronza, direi... Ma avrei potuto aspettare tutto questo tempo, per te?», continua, mentre il mio cervello mi sta mandando segnali di pericolo.
Dovrei aprire lo sportello ed andarmene.
Subito.
Ma non dimentico che chi ho davanti è il mio datore di lavoro, e che forse, i suoi, sono solo complimenti ai quali sarà sufficiente rispondere con un grazie ed un sorriso.
Di Lauro si sporge verso di me, fino a quando i suoi occhi non sembrano brillare, e la sua mano trova la mia spalla.
«Resta con me, questa notte...», sussurra, avvicinando le labbra alle mie orecchie.
Brividi gelidi mi fanno tremare.
Mi immobilizzo, mentre sento che il cuore sta saltando ostacoli che io non saprei neanche raggirare...
Di Lauro posa le sue labbra nell'incavo del mio collo, mentre porta una mano tra le mie gambe.
«La tua pelle è così... invitante, le tue labbra...», continua a bisbigliare.
Cerco di ritrarmi, non voglio essere licenziata.
Mi osserva, sorpreso dalla mia relazione.
«Credevo lo avessi capito...», dice, raddrizzandosi, ma non sembra dispiaciuto.
«Ti avevo assunto per questo, pensavo fosse chiaro, non avevi nessuna preparazione per questo lavoro, anche se devo dire che te la stai cavando molto bene, ma... ti avevo presa perché volevo che lavorassi per me, dopo l'orario di lavoro», si spiega, mentre sento un sudore invisibile imperlarmi la fronte, e le mani.
Dovrei essere la sua amante?!
«Io... non l'avevo capito», ammetto, nell'inutile tentativo di non far tremare la voce.
«Quindi? Ora che lo sai?», mi esorta, riavvicinandosi.
Le sue mani mi fanno ribrezzo, non voglio che mi tocchi, eccolo il quindi.
Apro lo sportello dell'auto e scendo, pentendomi di non averlo fatto prima, permettendogli di sfiorarmi.
Di Lauro mi segue, scendendo dall'auto, mi raggiunge in due falcate e mi afferra per un braccio.
«Vieni a casa con me, non fare la sciocca, non voglio divertirmi, mi prenderò cura di te, e del bambino... So che il padre non è qui, l'ho capito...», le sue parole dovrebbero essere gentili, risultare invitanti, ed invece, il modo in cui le pronuncia mi fa stare solo male.
Sento lo stomaco contorcersi e mi aspetto che da un momento all'altro tutto si ripeta.
Questa volta non accadrà.
Non lo permetterò.
«Non voglio», affermo.
«Sai di non poter essere licenziata, per via della gravidanza, ma non credere che non insisterò», mi promette, senza lasciarmi andare.
«Allora non c'è nessun problema, sono io che mi licenzio!», esclamo, prima di divincolarmi dalla sua presa ed iniziare a correre.
Raggiungo il portone di casa, cerco di infilare la chiave, ma mi trema la mano.
Riesco ad aprire la porta proprio quando Di Lauro mi raggiunge.
Ignoro le sue mani che mi trattengono ed entro dentro, ma lui mi segue.
«Sergio!», chiamo, pregando chiunque ci sia ad ascoltarmi di farlo arrivare in tempo.
Di Lauro mi fa voltare di fronte a lui, mi stringe a sé, mi bacia il collo, poi risale su, mentre io cerco ancora di sciogliermi dalla sua presa.
«Sergio!», grido di nuovo, e questa volta lui mi tappa la bocca con una mano.
Sento dei passi avvicinarsi, e poi il corpo di Di Lauro mi viene strappato di dosso, facendomi raggelare.
«Vattene!», gli ordina Valerio, spingendolo per le spalle.
Di Lauro ci guarda, increduli, fa saettare i suoi occhi da me a chi mi ha salvata, poi se ne va.
Sento la porta sbattere, il cielo chiudersi, il mondo spezzarsi, e le mie gambe cedere.
Il sangue si ritira dai miei arti, concentrandosi nel petto, come se stessi perdendo la vita, e forse l'ho persa di nuovo.
Il pavimento di pietra si avvicina velocemente, e poi si allontana.
«Hei, la aiuto», fa il nipote di Sergio, impedendomi di cadere a terra.
Mi accompagna nella stanza in cui ho cenato sere fa e mi fa accomodare sulla stessa sedia.
Dopo un po' torna con un bicchiere d'acqua.
«Grazie», dico, atona, ancora non in grado di tornare al presente.
«Chi era?», mi domanda, inginocchiandosi davanti a me.
Lo strano colore dei suoi occhi mi colpisce ancora, aprendo laghi e facendo scorrere fiumi dentro di me.
«Il notaio per il quale lavoro», rispondo.
«Lavoravo», mi correggo.
Gli farò avere le mie dimissioni il prima possibile.
«Mio nonno non c'è questa sera, ma forse è andata meglio così...», osserva, alzandosi in piedi e riprendendosi il bicchiere vuoto.
«Io sono Valerio», si presenta, ma lo sapevo già.
«Golden».
Mi alzo in piedi, testando la resistenza delle mi ginocchia.
«Ce la fai? A che piano è il tuo appartamento?», chiede, premuroso.
«Al primo».
«Ti accompagno», afferma.
«No, no», parlo in fretta, sono stanca di chi si propone di aiutarmi.
«Ci riesco», aggiungo, e per provarlo esco dalla stanza.
Raggiungo le scale ed inizio a salirle, poggiandomi alla balaustra.
«Sicura che non vuole una mano?», chiede Valerio, dubbioso.
«Sì, ne sono certa», salgo gli ultimi dieci gradini e poi percorro il corridoio, stanca come non mai.
Entro in casa e non riesco a raggiungere neanche il letto, mi abbandono sul pavimento, nella speranza di poterne divenire parte.

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Di Lauro è ufficialmente uscito allo scoperto, e cosa accadrà ora a Golden? Non ha più un lavoro, ma ha un bambino che cresce nella sua pancia e un affitto da pagare...

1270 baci DREAMERS😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora