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Incinta.
Incinta.
Incinta.
Non ci sono più dubbi, il nero spicca sul bianco come non mai, e le parole "risultato positivo" assumono il peggiore dei significati nella mia mente.
Tra otto mesi stringerò fra le braccia un bambino che non ho mai voluto concepire, figlio di un uomo che mi ripugna più di ogni altra cosa, e che spero di non rivedere più.
Davvero è stato così stronzo da non preoccuparsene? Da non pensare alle conseguenze? Da non prendere neanche precauzioni? Dopo il male che mi ha fatto quella notte, continua a farmelo anche ora, ed io lo odio, lo odio sempre di più, e vorrei ucciderlo, vorrei vederlo marcire dietro delle sbarre, lo vorrei vedere soffrire, implorare pietà, supplicare il perdono, ed invece non sono capace di fare nulla.

Non ne ho la forza, sono una codarda, ma non ce la faccio. Dovrei ammettere davanti a tutti la mia colpa, la mia stupidità, la mia ignoranza, e so benissimo che per infangare lui, macchierei per sempre anche me, ed io mi sento già abbastanza sporca.
Troppo sporca, per qualsiasi cosa. Troppo sporca anche per non meritarmi questo, ed inizio a credere che sono così talmente macchiata dalla vita che merito anche questo.
E l'università?
E i miei genitori?
Non ho voluto andare all'università, ma adesso non ci andrò di sicuro.
E non dirò nulla ai miei, ma cosa farò?
Una soluzione ci sarebbe...
Abortire.
E tutto sarebbe finito...
Ma come potrei uccidere un bambino?
E allo stesso modo come potrei prendermi cura di lui, se non sono in grado di amarlo?
E poi, anche se ho trovato un lavoro, lo stipendio non basterebbe per mantenere entrambi...

Il colloquio, questa mattina, non è andato affatto bene, a causa dell'agitazione per il risultato delle analisi, ma sono stata assunta lo stesso, ed inizierò tra due giorni, se riuscirò ancora ad avere una mente sana.
Ma c'è tempo, no?
Fino al terzo mese, ha detto la dottoressa, questo pomeriggio, dodici settimane più cinque giorni.
Sì, c'è tempo, ed io me lo prenderò tutto.
Il primo giorno di lavoro va meglio del previsto, rispondo solamente al telefono ed osservo clienti entrare ed uscire, nient'altro, e questo, però, non mi impedisce di preoccuparmi.
Chi mi sarà vicino, nel caso in cui decidessi di tenere il bambino?
Che lavoro potrò fare per poter mantenere entrambi?
E cosa direbbero i miei, di tutto questo?
Oh, lo so, so cosa direbbero, ed è per questo che non voglio che lo sappiano.
Sarebbero orripilati, mi considererebbero la figlia sciagurata, mi diserederebbero, non vorrebbero avere più niente a che fare con me, tanto vale che sia io la prima a lasciarli, purtroppo però l'appartamento sarà disponibile soltanto tra nove giorni...
E forse è arrivato il momento di informarli.

«Mamma», la chiamo, uscendo in giardino, è ancora estate, ma per me è tutto insignificante.
È seduta sulla sua poltroncina di vimini, che legge riviste di moda, come amavo fare io, mesi fa.
Alza lo sguardo, disturbata dalla mia intrusione e mi osserva, senza trasmettere emozioni, se non fastidio, e impazienza.
«Me ne vado», dico, sperando capisca.
«Cosa vuol dire?», domanda, come se sapesse già che mi farà cambiare idea.
«Cambio casa, me ne vado», chiarisco.
Mia madre si alza in piedi.
«Golden, non essere sciocca, e non credere che lascerò che tu usi i tuoi soldi, che poi sarebbero nostri, per vivere da un'altra parte!», parla, iniziando a perdere la calma, e senza sapere che io ho già utilizzato quasi tutti i miei risparmi.
«Ho trovato un lavoro», aggiungo, cercando di evitare un qualche approfondimento sull'argomento denaro in banca.
«Non dire sciocchezze, Golden, tu resterai qui a casa!», ribatte, poggiando la rivista, che ancora reggeva, sul piano di vetro del tavolinetto da giardino.
«Ho già deciso», affermo, nel tentativo di controllare l'angoscia che sento dentro e l'oppressione che dubito mi abbandonerà mai.
«Non puoi farci questo, Golden, non puoi!», continua a ripetere, gli occhi increduli e la bocca socchiusa.
Mi dispiace.
Dispiace più a me che a lei, ne sono sicura.
Ma non posso farci nulla.
Le volto le spalle e me ne vado, nella speranza di non doverla più rivedere, ma non perché non vorrei, bensì perché farebbe troppo male ad entrambe.
O forse sarebbe solo una prova di coraggio, lo stesso coraggio che avrei dovuto avere per dirle che sono incinta...
Lo stesso coraggio che avrei dovuto avere per denunciare Roger...
Ma non sono poi così forte come credevo, e per di più non voglio ammetterlo, perché anche per fare questo ci vuole coraggio.
Ed allora sono una vigliacca
Ma non mi importa, non mi importa più di nulla, vorrei solo che tutto fosse diverso, che dentro di me non crescesse il figlio di un uomo che non ho mai voluto in quel modo brutale, non vorrei dovermene andare, e avrei preferito frequentare l'università, invece di lavorare come una segretaria qualunque.
Tutto questo mi fa schifo, io mi faccio schifo!

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E le cose non sembrano migliorare...😅
Il tempo è passato da quella notte in barca, e continua a passare, ma Golden non riesce ancora a perdonarsi, non riesce ancora ad accettarsi, ed allora preferisce la fuga alla battaglia.
Non si sente forte abbastanza per affrontare le conseguenze dell'accaduto, e allora cerca in tutti i modi di evitarle.
Voi cosa ne pensate?
Fatemi sapere⬇⬇⬇ intanto vi mando 900 baci come le parole di questo capitolo😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora