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1994
Ho paura
Sono stanca e non ho il coraggio di dire la verità, neanche a mio padre
Colpevole
È la parola che vedo scritta ovunque.
Vorrei dirglielo, sapere cosa direbbe, come reagirebbe
Non voglio che lo sappia, non avrei mai il coraggio di dirglielo, è inutile che ci penso.
Mio padre non può saperlo e mia madre non può ascoltarmi.
Sono sola, oggi più che mai.

1994
Non riesco a smettere di pensarci, le sue mani sono ancora ovunque, anche dopo una settimana, le sue labbra strisciano sul mio ventre, nell'interno delle cosce e le sue mani mi strappano via la voglia di vivere.
Sto meglio, oggi, dopo una settimana esatta.
Devo stare meglio, per mio padre.
Credo sospetti qualcosa, ma non immaginerebbe mai la realtà, non ci crederebbe mai.
Penso invece che creda che io stia solo esagerando la cosa.
Fabio è molto convincente quando vuole e so che lo è stato anche con mio padre, e lui mi ama, ma non poteva non credere all'evidenza di un fatto mai accaduto, nel modo in cui lui lo ha descritto.
La festa a casa di Gaia era piena di gente.
Soffocavo.
Era divertente, c'era molto alcol e forse ho bevuto troppo.
Fabio era mio amico, lo era sempre stato, fin da quando eravamo bambini.
Giocavamo insieme.
Quella sera era ubriaco anche lui, ma non credevo potesse trasformarsi in un mostro, che potessi essere così stupida.
L'ho seguito, priva di ogni freno inibitore.
Mi ha portata in una stanza.
Mi ha strattonata contro la parete, mi ha baciata, ed io l'ho lasciato fare, poi però, si è stretto a me in un modo inaspettato.
Credevo stesse scherzando, volevo credere che scherzasse, ed invece mi ha strattonata fino al letto, ha tirato giù la cerniera del mio vestito in meno di un secondo, ferendomi la schiena.
Mi ha spogliata.
Non ho fatto nulla
Avevo paura
Ho tentato di scalciare, ma la mia forza era minima, l'alcol mi impediva di concentrarmi, sapevo solo ciò che non volevo, ma non sapevo come allontanarlo.
Si è slacciato i pantaloni, prima di inginocchiarsi sopra di me, e riprendere a baciarmi.
Ho visto gli angeli cadere dal cielo
Il mondo distruggersi
Le nuvole trasformarsi in cemento
Il mondo distruggeva l'uomo
Fabio continuava a stringermi, a baciarmi, fino a quando non l'ho sentito.
È stato violento, uno strappo, e poi ancora peggio.
Ho pianto
Ho gridato
La musica era troppo alta
Avrei voluto essere forte, avrei voluto prenderlo a schiaffi, avrei voluto sputargli contro tutto il mio disprezzo.
Fabio era morto
Fabio non si fermava.
Credevo di essere morta io
Il cuore ha preso a farmi male
L'odore di Fabio mi entrava nei polmoni preannunciando che non sarebbe mai più scomparso
La nausea era tanta, ma tremavo troppo e non riuscivo neanche a tenere gli occhi aperti o a dar retta ai conati di vomito a vuoto
Il mio stomaco si contraeva, e faceva tutto più male, ma dall'esterno era come se non accadesse nulla
Il mio cuore ha smesso di battere, o almeno avrei tanto voluto che accadesse.
Fabio mi ha stretto per i fianchi e poi ha continuato a muoversi, come in preda ad un istinto animale che lo aveva, in pochi minuti, trasformato in un mostro.
Ha iniziato ad ansimare, fino a quando non ha emesso un suono gutturale che mi ha fatto tremare il cuore.
Qualcosa è andato perso
La sua pelle ha infettato la mia
Il suo disprezzo nei miei confronti è divenuto il mio disprezzo nei confronti del mondo
Fabio si è allontanato, ha riallacciato i pantaloni e mi ha lasciata sul letto.
Non si è neanche degnato di guardarmi, prima di uscire dalla stanza, come se non ci conoscessimo da una vita, o non fossimo stati amici fino ad un quarto d'ora prima
Si è richiuso la porta alle spalle e mi ha finalmente lasciata sola, ma sola con cosa?
Ricordi taglienti e gesti così pesanti da far male ancora adesso
Mi sono alzata dal letto, non riuscivo a camminare decentemente, così mi sono riseduta, ed intanto ho provato a richiudermi il vestito, ma sono riuscita ad arrivare solo a metà schiena.
Dopo qualche minuto me ne sono andata dalla stanza, in cerca di Gaia, la padrona di casa, nonché mia amica.
Quando l'ho trovata ho avuto un momento di titubanza, anche Fabio era mio amico.
«Dafne», ha esclamato Gaia, vedendomi mezzo zoppicare verso di lei.
Dovevo avere un aspetto stralunato, lo so, ma in quel momento non me ne fregava niente.
«Allacciami il vestito», le ho chiesto.
«Ma con chi sei stata?», mi ha domandato, era ovvio che lo capisse, tutti lo avrebbero capito.
Mi sono voltata e le ho lasciato chiudere l'abito, quando sono tornata a guardarla lei ha incrociato gli occhi con i miei, nella speranza di trovare la risposta e non la terrificante realtà che nascondevano.
In fondo volevo che lo sapesse.
Non avrei voluto che lo scoprisse così subito, prima ancora che io potessi capire se fidarmi nuovamente di lei o no.
Gaia mi ha accarezzato i capelli, forse per rimetterli a posto, poi mi ha preso per mano e mi ha portata nella sua stanza, fino ad allora chiusa a chiave.
Mi ha fatta sedere sul letto.
«Chi è stato? Dimmi come si chiama quel bastardo!», ha gridato, dopo avermi osservato per un altro istante.
Ho scosso la testa, e abbassato lo sguardo.
Mi si è fatta accanto e si è inginocchiata davanti a me.
«Dimmi chi è stato, lo caccio via all'istante e la festa finisce», ha continuato, prendendomi il viso tra le mani, costringendomi a guardarla.
Ho fatto segno di no con la testa, di nuovo, mentre le lacrime iniziavano a rigarmi le guance, per poi bagnare le sue mani.
«Dafne, nessuna donna merita questo, se non vuoi dirlo a me, come potrai dirlo alla polizia, come potrai denunciarlo?!», sembrava non poter capire.
Non lo avrei mai denunciato, non avrei mai ammesso una colpa così grande.
Non mi ero mai accorta di chi era negli ultimi tempi.
Non volevo vederlo
Ma forse non c'era nulla da vedere, o che fosse visibile, ed io non avevo nessuna colpa per ciò che era successo
Era cambiato, si comportava diversamente e quella sera l'alcol doveva averlo stordito.
Aveva stordito anche me, e speravo che dopo una bella dormita, la sbronza mi avesse fatto dimenticare tutto.
«Vado a chiamare Fabio, così che potremo prenderlo a calci quello stronzo!», ha esclamato Gaia, alzandosi in piedi e andando a grandi passi verso la porta.
«NO!», ho gridato.
Una voce stridula, mai udita prima, si è fatta strada nella mia gola per poi sbucare dalle mie labbra appena oltraggiate.
Gaia è rabbrividita, ed io con lei.
Ha fatto no con la testa e poi si è riavvicinata a me, lentissimamente.
Capivo benissimo i suoi occhi, contenevano lo stesso stupore che riempiva i miei meno di mezz'ora prima.
Fabio non era mai stato così.
«No», ha sussurrato lei, basita.
Si è seduta accanto a me e si è presa la testa tra le mani.
«No, no, no», ha continuato a ripetere per qualche minuto, senza sosta.
Ed era ciò che mi ripetevo anche io.
No
No
No
No
No
No
No
No, fino all'infinito.
Tutto questo era un enorme e gigantesco no
La mia vita lo era appena diventata.
«Oh, mio dio, che scema, sto qui a farneticare come una pazza...», ha rialzato la testa ed è uscita fuori dalla stanza prima che io potessi fare qualsiasi cosa.
Ho sentito delle grida, al piano di sotto, e poi la musica si è spenta.
Lamentele generali ed in fine, dopo un'infinità di minuti, il portone d'entrata ha sbattuto.
«Dobbiamo dirlo a qualcuno, Dafne, devi dirlo a qualcuno!», ha continuato a ripetermi, fino a quando non mi sono addormentata tra le sue braccia.
Al mio risveglio, il mattino dopo, l'ho trovata che ancora mi abbracciava, ma non dormiva più.
«Dafne, devi dirlo a tuo padre», mi ha detto, facendomi alzare il mento verso di lei.
Ho scosso di nuovo la testa.
Non lo avrei mai detto a mio padre.
Vorrei dirglielo, vorrei che sapesse, che mi credesse e trovasse un modo per aiutarmi, ma non cambierebbe nulla se lo sapesse, non potrebbe aiutarmi in nessun modo, è una cosa che riguarda me e me soltanto.
Ed io non voglio che lo sappia nessuno, al di fuori di Gaia.
«Se non lo farai tu, lo faccio io», ha iniziato a dire, e alla fine lo ha fatto.
Una settimana dopo mio padre è venuto da me infuriato, dicendomi come avevo il coraggio di inventarmi una cosa simile, aveva appena parlato con Fabio e lui gli aveva spiegato tutto, ma soprattutto gli aveva detto l'unica verità che esisteva.
Non mi aveva stuprata
Avevamo litigato, alla festa, perché lui non aveva mantenuto la promessa fatta in un gioco tra di noi, già mezzi ubriachi, ed io lo avevo minacciato dicendogli che avrei raccontato a tutti che lui mi aveva violentata.
Ed è andata così, è andata così per tutti, persino per i presenti alla festa, anche loro contattati da mio padre.
Avrei voluto uccidere mio padre, avrei voluto uccidere Gaia, ma prima di tutti avrei voluto annientare Fabio, di lui non doveva rimanere neanche il corpo, nemmeno un resto, sarebbe dovuto essere come se non fosse mai esistito
Non era colpa di Gaia, se mio padre si era comportato così, non poteva sapere, e non era neanche colpa di mio padre, al quale voglio il bene più grande del mondo, perché lui credeva soltanto a chi aveva una voce più forte.
Avrebbe dovuto fidarsi di me, di sua figlia
Non si fidava perché non ero mai stata la figlia perfetta.
Gli avevo mentito spesso e per questo non potevo biasimarlo se io avevo perso di credibilità, per lui.

Un giorno trovai un gatto.
Il vicino di casa lo aveva abbandonato perché non ne voleva sapere di gatti
Credevo fosse randagio, e lo era, in un certo modo.
Mi presi cura di lui, per una settimana, poi il vicino tornò a casa dicendo che gli era scomparso il gatto.
(Sua figlia voleva avere un gattino)
Quel gatto era suo e qualcuno lo aveva rubato.
Lo hanno trovato nella mia camera, ed io non ho avuto nulla da dire, cosa potevo dire?
Quella che raccontate non è la verità?
Ad una bambina di otto anni non si crede mai.
Ed ho continuato a vedermi così, fino ad oggi, anche ora mi vedo così.
Una persona della quale gli altri non si fidano
Una persona che non merita la fiducia degli altri.
Ho iniziato a mentire, a nascondere ciò che ero e che sapevo fare.
(Gli altri non avrebbero capito e mi avrebbero considerata una presuntuosa)
Mio padre mi ha sempre voluto bene, anche se probabilmente la colpa più grande per come sono ce l'ha lui, ma con questo non provo nessun risentimento.
Tutti i genitori sbagliano, ed io sono il suo errore, ma non mi importa, non mi è mai più importato dopo quella volta di dieci anni fa, con il gatto.
Amo mio padre perché è mio padre e mi vuole bene, anche se non è l'uomo perfetto che sa sempre cosa scegliere.
(Quest'uomo non esiste)
È per questo che non volevo dirlo a mio padre, sapevo che non mi avrebbe creduto.
Non penso che adesso mi voglia meno bene che una settimana fa, prima che Gaia gli andasse a parlare, ma sono io, però, che non voglio più bene a me.
Non ce la faccio più
Dovrei tentare di andare avanti e so che ci riuscirò.

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Questo capitolo è un pezzo del diario che Golden ha iniziato a leggere, quindi se la punteggiatura non è esatta, se alcune frasi non hanno "senso", è voluto.
Spero in ogni caso che vi piaccia e se pensate sia meglio riscriverlo fatemi sapere❤
Intanto 1980 baci per voi dreamers!😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora