«Alba», Fred mi chiama da dietro la porta, ma io ho intenzione di non rispondergli.
Ho bisogno di pensare.Non so dopo quanto mi lascia sola, ma alla fine diventa notte, ed io ho solo voglia di dormire, e di non sognare.
I giorni passano come se fossero aquiloni spinti dal vento, un vento forte, quasi tempesta, ed io non ho il tempo neanche di coglierne i colori, ma non mi importa più.
Non esco dalla mia stanza, se non per mangiare, e in queste occasioni Fred si comporta in modo sempre gentile, ma non mi fa più pressione, non che l'abbia mai fatto, in ogni modo non mi sento più schiacciata dal suo bisogno di sapere che io mi fidi di lui.
Questo non significa che sono disposta a fidarmi di lui, anche se mi ha accolta in casa sua, raccontato parte della sua vita, senza mai chiedermi nulla in cambio, se non un po' di fiducia.
Mi dispiace per come stanno andando le cose, perché credo non sia giusto comportarsi in questo modo, ma è ciò che mi fa stare meglio, sapere di poter contare su qualcuno, anche se non voglio altro che farcela da sola.
Spero solo che con il tempo qualcosa cambi.
Che il cielo smetta di essere sempre così uguale, o che i miei occhi smettano di vederlo sempre allo stesso modo.
Ma nulla cambia.
Le persone muoiono, soffrono e sorridono, città cadono a causa delle guerre, terremoti buttano giù case e vulcani le sotterrano, ma il mondo non cambia mai.
E se qualcosa non cambia, come può essere considerata viva?Sento le braccia cadere al suolo e vedo le dita sparpagliarsi sulla ruvida moquette grigia.
Gocce di sangue dipingono di rosso la mia maglietta candida ed un orsetto di peluche giace al suolo, accanto ai piedi di un letto in ferro battuto.
La stanza è piccola, l'aria consumata e l'unica lampadina, aggrappata al soffitto grazie ad un solo filo sottile, sembra poter esalare il suo ultimo respiro da un momento all'altro.
Il letto al centro della stanza è sfatto, le lenzuola nere sono arrotolate in un angolo.
Non ci sono finestre.
Vorrei avvicinarmi all'orsacchiotto, prenderlo tra le braccia e stringerlo al petto, ma non posso.
Le mie braccia giacciono al suolo e non so come riprenderle.
Cado sulle ginocchia, vorrei portarmi le mani alle tempie, ma ancora una volta non posso, così mi lascio andare sulla moquette che sembra essere di feltro, nella speranza che il sangue che esce dal mio naso mi soffochi, mettendo fine a questa agonia.Mi sveglio con il respiro affannato, come se fossi davvero sul punto di soffocare.
La stanza è buia e per un istante temo di star ancora sognando.
Poi accendo la luce e l'ormai familiare carta da parati mi abbraccia.
Non smetterò mai di sognare letti vuoti dalle lenzuola arrotolate ed oggetti che richiamano l'infanzia.
Come si può dimenticare, o anche solo superare ciò che ci è accaduto.
Ma si può davvero, poi?Non suono più il pianoforte, dopo quella volta, e Fred non accenna più all'avvenimento, non parla più neanche di sua figlia, mi dice solo che lui c'è, e che se ho bisogno di confidarmi, so dove trovarlo.
Vorrei renderlo felice, riuscire ad aprirmi, ma mi sembrerebbe una cosa così sbagliata da essere più sbagliata del mio stesso passato.«Jace è nato che Dafne aveva già quindici anni, non hanno avuto la possibilità di essere fratelli e non so neanche se avrebbero potuto diventarlo...», inizia Fred, a cena, davanti ad un piatto di minestra.
«Non volevamo un altro figlio, o per lo meno ero io a non volerlo... non sapevo cosa desiderasse mia moglie», continua a raccontare.
«So solo che quando mi disse di essere incinta piangeva dalla gioia, e nonostante la superficialità con la quale mi prendevo cura degli altri, le volevo bene, e mi adattai alla situazione, in fondo si sarebbe occupata di tutto lei».
«Quando è morta, un anno dopo, è stato difficile, non posso dire di essere stato un padre presente, e di questo me ne rammarico ancora oggi. Mia figlia aveva già quindici anni, le volevo bene, la amavo, ma non la conoscevo, e l'amore non basta per sentirsi vicini ad una persona», abbassa lo sguardo e posa il cucchiaio sul tavolo.
«Mia moglie si prendeva cura di tutti, e Dafne era più sua figlia che mia... Non riesco ad immaginare il modo in cui si debba essere sentita Dafne dopo la morte di sua madre...», gli occhi di Fred sono colmi di passato, come se da un momento all'altro io potessi trasformarmi in sua figlia e tutto avesse l'abilità di tornare come prima.
«Non potevo occuparmi di lei, non ci riuscivo, mi sforzavo di pranzare e cenare con lei, ma eravamo solamente due corpi che occupavano la stessa stanza nello stesso momento, non c'erano parole tra di noi, se non domande senza risposta, o sguardi non compresi...», china gli occhi, come se si vergognasse.
«Non mi fidavo di lei», ammette, senza alzare lo sguardo.
«Non c'ero mai riuscito, i bambini per me erano...», inspira, chiude gli occhi.
Soppesa le parole.
«Diversi», conclude, rimanendo immobile.
«Era mia moglie che se ne occupava», ripete, per la seconda volta.
«Credevo che i bambini non potessero capire, che avessero bisogno di crescere per poterti ascoltare, e aspettavo che diventassero adulti per poter donare loro rispetto e riconoscenza...», il suo tono è cambiato dall'inizio della sua confessione.
È più caldo, profondo, ed è fragile.
L'uomo di cui sta parlando non esiste più.
«Ma non ho fatto in tempo, non ho mai fatto in tempo», alza lo sguardo e lo punta su di me, improvvisamente, sorprendendomi e immobilizzandomi.
«Dafne si è suicidata, ed ho creduto per anni che fosse a causa di quel rispetto e di quella riconoscenza che io le avevo negato».
Inspira di nuovo, sposta lo sguardo sul piatto.
«Poi ho trovato il diario... ho capito perché mia figlia si era tolta la vita, ed ho cercato di rimediare, di ricominciare. Capii che non avevo mai visto ciò che dovevo, e il mio lavoro non aveva poi così tanto bisogno di me, nonostante cercassi in tutti i modi una promozione... Jace aveva già cinque anni e non mi considerava suo padre, mi vedeva di rado, ed era ostile nei miei confronti...», sembra ancora troppo fragile per sopportare una cosa del genere.
«E non è più cambiato. Ha sempre creduto che non mi fossi preso cura di lui perché non lo ritenevo all'altezza, e non si sbagliava... per lo meno non all'inizio...», Fred continua a parlare, e sono lieta del fatto che non si aspetti delle risposte da me, perché non avrei parole da donargli, come se all'improvviso tutte le lettere fossero scomparse e tutte le parole che avevo nella testa dissolte, insieme alle immagini e ai ricordi.
Fred fa un respiro profondo.
«Non credo che Dafne possa essersi inventata tutto», non è preciso, ma non è necessario.
Sappiamo bene a cosa si riferisce, e questo mi mette in imbarazzo.
Capisco adesso dove volesse arrivare.
E lui capisce subito di avermi messa a disagio, mentre io mi preparo, di nuovo, a non rispondere.
«Dopo la sua morte, dopo aver letto il diario, ho cercato in tutti i modi di rendermi utile, ma mio figlio mi evitava, ed io mi sentivo come se, all'improvviso, il mondo avesse capito di poter fare a meno di me, dopo una vita passata alla ricerca di un ruolo da assumere, e di una missione da portare a termine. Ero inutile, fino a quando non ho incontrato Christian, ho ricevuto la promozione che cercavo e poi... ho visto te», cerca i miei occhi.
«Lo stesso azzurro dei suoi, la stessa paura, la stessa corazza», parla.
«Non ho potuto aiutare mia figlia perché ero cieco e stupido, ma ho avuto una seconda possibilità, non posso credere che averti incontrata sia stato soltanto un caso, che non ci sia un motivo...», scuote la testa, come se da un momento all'altro potesse perdere la speranza.
Fred mi commuove, vorrei poterlo aiutare, vorrei poterlo far sentire meglio, ma...
Posso davvero?
«Non voglio nulla da te, Alba, mi piacerebbe soltanto che tu tornassi a vivere, perché la tua non è vita, non puoi trascorrere il tuo tempo chiusa in una stanza», mi fa capire, sporgendosi verso di me.
«Accompagnami a lavoro, domani, ti servirà da distrazione, ed io ci sarò per qualsiasi cosa di cui tu avrai bisogno. Se ti annoierai, o se vorrai tornare a casa, ti riaccompagnerò subito, ma esci almeno un po'...», mi prega, addolcendo lo sguardo, rendendolo ancora più rassicurante e protettivo.
Ho bisogno di credergli, e non posso impedirmelo.
Devo uscire di qui, e ritrovare qualcosa, qualsiasi cosa, perché credo proprio di averla persa.
Annuisco, senza parlare.
Fred mi sorride, fa per allungare una mano verso di me, ma poi la ritira indietro, riafferra il cucchiaio, riprende a mangiare e non parla più.Dentro di me capisco che non avrei temuto il contatto della sua pelle contro la mia, anzi, quasi lo desideravo.
Non ho più paura.
Non di Fred._____________________________________________
Che sia un passo avanti?
Speriamolo dreamers, intanto vi lascio 1530 bacini tutti per voi😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

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GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime. WATTYS2019
ChickLitDa bambini sembra tutto semplice, diventare adulti è qualcosa di automatico. Da adulti, invece, è tutto più difficile, ci sono responsabilità dalle quali non ci si può tirare indietro, ma questo, Golden ancora non lo sa. Vissuta sempre nel suo mondo...