17

85 12 6
                                    

Apro la porta di casa e inciampo sulle valigie che avevo lasciato in mezzo al corridoio.
Il pavimento in marmo è freddo, e troppo duro.
Richiudo la porta ed inizio a piangere, finalmente sola, finalmente libera dalla mia famiglia, finalmente completamente persa, senza averlo mai chiesto.
La mia vita è uno schifo, mia madre mi fa schifo ed il mio lavoro non ha senso...
Non per me.
Ma quale lavoro potrei fare?
Non so nulla della vita, nulla.
Non ho comprato da mangiare, il frigorifero non c'è e la cucina è una di quelle vecchie, ed io dubito persino del suo funzionamento.
L'appartamento non è arredato.
Nella stanza in cui mi trovo c'è solo la cucina.
Sedici metri quadri di cucina, un bancone che funge anche da tavolo e un divano a due posti in un angolo.
Niente televisione, niente di niente.
Non un quadro, non un tappeto, non un vaso, o un fiore...
Nel bagno minuscolo non c'è la vasca.
La camera è spaziosa, tanto quanto la cucina, forse anche un po' di più.
C'è un lettino in un angolo, tutto il resto è vuoto, spoglio, arido, come me.
Non in grado di accogliere la vita.
Mi stendo sul letto duro, il materasso è troppo sottile, ma non ci faccio caso, ho bisogno di chiudere gli occhi, di dormire, di soffrire, di morire.

Mi sveglio nel mezzo della notte, con i crampi allo stomaco per la fame, non ho niente da mangiare qui, e non posso uscire per andare a comprare del cibo a quest'ora.
Non so cosa fare, sento la bile risalirmi fino alla bocca, ho fame.
Penso al bambino che porto dentro e mi fa ancora più male, saperlo nella mia pancia.
Lo reputo, per metà, colpevole della mia fame.
Esco dall'appartamento e scendo all'entrata, nella speranza di trovare il portinaio.

Sergio mi è sembrato un uomo gentile, forse ha qualcosa da mangiare.
Ed ho troppa fame per preoccuparmi della mia dignità.
Chiedere del cibo come se fossi una mendicante...
Tutto questo mi porta a piangere di nuovo.
Mi siedo sulle scale e singhiozzo, singhiozzo fino a quando non sento il petto farmi male, ed il dolore aggiungersi ai crampi allo stomaco.
Se fossi rimasta a casa avrei sicuramente trovato qualcosa da mangiare in cucina, e ancora prima, non avrei saltato la cena...
Se non avessi mai incontrato Roger ora mi sentirei ancora la ragazza più bella di tutte, la più fortunata, quella che dovrebbe essere idolatrata perché senza difetti, ed invece, ora, sono la più miserabile.
La luce delle scale si accende, e sento dei passi avvicinarsi.
Non oso alzare lo sguardo, mi vergogno già troppo di aver singhiozzato così a lungo.
Mi alzo in piedi e cerco di andarmene prima che possano vedermi, ma qualcuno mi chiama.

«Signorina Golden», deve essere Sergio, solo lui sa come mi chiamo in questo palazzo.
Non mi volto, ma lui mi chiama di nuovo.
Sono costretta a voltarmi, perché ho la strana certezza che mi inseguirebbe su per le scale, e solo questa mattina mi ha detto che non vanno molto d'accordo con la sua età.
«Signorina Golden...», ripete, con tono più dolce, stupito dalle lacrime.
Si avvicina ancora di più alle scale e mi osserva, come se fossi la prima persona ferita, persa, inutile e senza dignità che abbia visto.
Mi sento colpevole per tutti gli errori che ho fatto.
Ho dimenticato di comprare qualcosa per la cena, come potrei prendermi cura di un bambino, e a chi lo lascerei, poi, quando dovrei lavorare?
«Cosa è successo?», domanda, addolcendo ancora di più il tono caldo della sua voce.
Mi sentirei ancora più in colpa e maleducata se me ne andassi adesso, senza rispondergli.
Scendo le scale che ci dividono, ma evito di guardarlo in volto.
«Niente», rispondo, nella speranza che si convinca ad andarsene.
«Ed il niente porta a tutte queste lacrime?! Sa, non lo sapevo...», mi risponde, cercando di consolarmi, lo capisco.
Porge un braccio verso di me, mi ritrovo vicina a lui.
Posa il braccio sulla mia vita, essendo io più alta di lui di parecchi centimetri.
«Sa, non c'è niente per il quale valga la pena di piangere in questo modo... Cosa è successo?», continua, sempre più interessato al mio stato d'animo.
Mi porta dietro al suo bancone, spegne la luce e poi mi accompagna nella stanza dove di solito sta lui la notte.
«Venga, si sieda», mi indica la sedia accanto alla scrivania, a sua volta affiancata alla libreria.
Lui va a sedersi sulla sua poltrona reclinabile, e mi osserva.
«Allora? Cosa è successo, a quest'ora della notte?».
Ancora non riesco a guardarlo in volto, le lacrime mi bagnano il collo, la scollatura del vestito con il quale lavoro che non mi sono ancora tolta.
«Ho dimenticato di comprare la cena... sto male... ho fame...», sussurro, mentre cerco di asciugarmi le lacrime prima di bagnarmi irrimediabilmente.
«Oh, è solo per questo!?», Sergio sembra incredulo, si alza dalla sua poltrona e poi va verso la libreria.
«Sa, è fortunata, mio nipote porta sempre degli snack, e poi questa sera non avevo fame, c'è ancora il mio panino al formaggio... intatto», mi informa, aprendo uno sportello ed estraendo un pacchetto di crackers, uno di merendine, e poi il suo panino.
«Allora? Cosa vuole?», vorrei tanto quel panino al formaggio, ma non voglio togliere a lui il cibo.
Non so rispondere.
«Questo credo sia meglio...», riflette, decidendo lui per me.
Mi si avvicina con il suo panino e me lo porge.
Vorrei tanto rifiutare, dirgli che non ho bisogno del suo aiuto, vorrei non dover ammettere la fame che invece ho, vorrei poter conservare un po' del mio orgoglio.
Ed invece afferro il panino, gli rivolgo un mezzo sorriso, più intimidito che maleducato, e poi addento il cibo.
Sollevo lo sguardo e mi rendo conto che forse dovrei dire qualcosa.
«Grazie», un altro sorriso, e poi un altro morso.
«Non si preoccupi, proprio non avevo fame...», mi fa sapere, tornando a sedersi alla sua poltrona in pelle marrone.

Allunga lo schienale, fino a ritrovarsi quasi disteso.
«Dorme qui, la notte?», mi sembra una domanda stupida da fare, ma non riesco ad immaginare un uomo come lui, costretto a dormire su una poltrona come quella.
È un signore abbastanza robusto, e sinceramente non credo si stia molto comodi.
«Sì, da più di venti anni, inizialmente c'era un lettino, ma le posso assicurare che era più scomodo di questa poltrona, e poi, sa, ci si abitua...», risponde, chiudendo gli occhi.
«E non si annoia, la notte?».
«Come può vedere no...», risponde, accennando ad un sorriso.
«Io non verrò tutte le notti», cerco di fargli capire che è solo un caso, se mi trovo qui, a cenare nel mezzo della notte, con un panino che non è mio.
«Ci sarà qualcun altro, c'è sempre stato, e ci sarà sempre. Le notti sembrano inerti, immobili, ma non lo sono, nell'ombra c'è una vitalità nascosta che in molti non comprendono, perché non immaginano. Le vite degli uomini cambiano, durante la notte. Ed a volte c'è fin troppa luce, nel buio...», mi risponde, con un tono grave che mi fa rabbrividire.
Ma mi piace il suo modo di parlare, mi piacciono le sue risposte, il modo in cui si comporta...
«Così sembra interessante...», gli faccio notare.

Mi piacerebbe conoscere queste vite, questa luce di troppo, e quella vitalità di cui ha parlato...
«Lo è, ma non sempre è divertente...», risponde, facendomi rabbrividire di nuovo.
Non ho paura, ma è l'atmosfera, il timbro della sua voce, la sua calma, la mia fame che si va lentamente placando, a rendere il tutto emozionante.
Mi sento a casa, in un certo verso.

Finisco il mio panino, sto per ringraziarlo di nuovo quando mi accorgo che si è addormentato.
Non voglio disturbarlo, così me ne torno in casa, con la promessa di porgergli il mio ringraziamento domani mattina.

«Non c'è Sergio?», domando al ragazzo che occupa il posto di Sergio in portineria.
Non credo abbia più di ventidue anni, ma sembra già un uomo.
I capelli scuri tirati da una parte e un leggero filo di barba su tutto il profilo del mento.
Gli occhi blu credo li abbia presi dal nonno, ma in una tonalità molto più intensa.
Mi osserva, prima di rispondere.
«No, ci sarà questo pomeriggio», mi informa, prima che io possa leggere dal suo cartellino il nome Valerio.
«La ringrazio», rispondo, andandomene.

Passo la domenica mattina in negozi di elettrodomestici, devo trovarmi un frigorifero.
Lo scovo al secondo colpo, me lo porteranno a casa questa sera, mentre io farò pranzo in un ristorante.
Quando torno trovo Sergio all'entrata e colgo l'occasione per ringraziarlo, ancora una volta, per la compagnia di ieri sera e per il panino.
«Non si preoccupi», non ha fatto che ripeterlo, ed alla fine sono stata costretta ad andarmene perché erano arrivati quelli del frigorifero.
Non appena lo hanno installato esco di nuovo per comperare qualcosa per cena e poi torno a casa.
Non so cucinare, l'unica cosa di cui mi credo capace è cuocere un uovo, nel pentolino che ho comperato questa mattina.
Dovrò comperarmi anche delle pentole, se non voglio morire di fame qui dentro, e cambiare divano, non mi piace quello che c'è.
Sembra sudicio e mi ricorda troppo quello che popola i miei incubi.
È come se stessi aspettando Roger, che arriverà da un momento all'altro, pronto a ripetere ciò che ha già fatto.
Mangio in camera da letto, e mi ricordo che anche questo andrebbe cambiato.
Mi riprometto che nel prossimo giorno libero mi occuperò di tutto.
Forse alle pentole dovrei pensarci prima...

______________________________________________

Nonostante le sventure, nella vita di Golden ci sono ancora persone buone, come Sergio...
Fatemi sapere come prosegue la lettura, se la storia vi sta piacendo e volete che continui😊
Intanto dreamers vi lascio i miei 1640 baci😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora