Ho sempre amato l'odore della carne che cuoce con il vino, ma oggi fa un caldo tremendo e non vedo l'ora di uscire dalla cucina.
Infatti da quando sono venuta qui non ho mai fatto una passeggiata nei dintorni, tra l'altro vicino ci dovrebbe essere il mare.
Non appena spengo il fuoco faccio per girarmi, ma sento una presenza alle spalle.
"Spostati!"-solo sentire la sua voce mi fa letteralmente bollire il sangue nelle vene.
"Non vedi che sto lavorando?"-non mi giro nemmeno: non è degno della mia attenzione.
"Come vuoi."-sussurra, per poi avvicinarsi al mio corpo, tanto che posso sentire i suoi sospiri tra miei capelli.
Faccio per allontanarmi, ma le sue braccia mi ingabbiano all'isola della cucina, mentre si prepara il pranzo da solo.
"Mi fai andare?"-sputo acida, anche se non è quello che vorrei davvero.
Sento una scarica elettrica attraversarmi tutto il corpo, mentre la sua schiena aderisce alla mia e mi spinge volontariamente contro l'isola.
Sospiro involontariamente a quella mossa, mentre lui allunga un braccio per afferrare il cucchiaio sul ripiano: i suoi muscoli si contraggono sulle mie scapole e solo l'idea che i nostri corpi sono separati solo dal tessuto dei nostri vestiti mi fa impazzire.
Prima di allontanarsi sfiora con una mano il mio fianco, per poi lasciarmi libera a soffocare per l'imbarazzo.
Mentre si allontana dalla cucina lo guardo con la coda dell'occhio assumere una posizione orgogliosa: già non indossa più il suo uniforme, ma una maglia a maniche corte e fin troppo aderente, mentre le sue gambe sono fax da un paio di jeans corti.
Scuoto la testa, cercando di cancellare quell'immagine dalla mia testa: James non rientra nei miei gusti, credo.
Non mi sono mai piaciuti i ragazzi scontrosi, anzi ci sono sempre stata lontana, ma lui è così prepotente, così stronzo, così...
Mi guardo intorno, sentendomi osservata, infatti incontro lo sguardo di una cameriera, che è rimasta con un cucchiaio in aria.
Mi chiedo quanto abbia visto finora, ma mi limito a evitarla e lascio la rumorosa stanza alle spalle per poi raggiungere la mia. «Ciao, bellissima!»-saluto il mio riflesso mentre passo davanti allo specchio, per poi afferrare una molletta dentro il primo cassetto e fare una coda alta.
Mi arrendo di realizzare una coda perfetta dopo vari tentativi e lascio che le ciocche ribelle mi cadano sul viso.
Chiudo la porta alle spalle e mi avvio all'uscita più vicina, senza salire le scale: non voglio rischiare di incontrare Edward, non avrei il coraggio di parlargli e farei la stessa figura di merda che ho fatto ieri.
Arrossisco di nuovo al ricordo dei suoi occhi sul mio corpo, mentre mi allontano dalla villa con l'intenzione di ritornarci solo al momento del mio turno.
Riesco già a sentire l'aria fresca del mare e a intravederlo dal cancello della villa. Ho sempre preferito la montagna al mare, in realtà, ma Torrence si vanta del suo mare turchese e sinceramente, se dovessi scegliere se vivere in questo distretto di Los Angeles o ritornare dai miei genitori a Compton, preferirei rimanere qui.
È quasi ora di pranzo, ma la voglia di fare una passeggiata per la città supera qualsiasi cosa, quindi mi dirigo al mare, seguendo il rumore delle onde, per poi prendere un forte respiro.
Finalmente l'aria si fa più fresca. Attraverso la strada cinque metri oltre le strisce pedonali, come faccio di solito, portando avanti questa ribellione inutile nei confronti delle regole stradali.
Il terzo anno del liceo presi la mia prima insufficienza in educazione civica, per non aver memorizzato i simboli stradali a memoria, quindi da allora non ho mai rispettato né il semaforo ne le strisce pedonali, anche se in realtà tutto quello che ottengo in risposta sono suoni di clacson e il rischio della vita.
Ciononostante cammino a testa alta, attraversando le macchine che attendono in fila per il traffico del mezzogiorno, quindi calpesto finalmente la sabbia.
A quest'ora, per fortuna, la spiaggia è deserta, se non fosse per alcuni ragazzini che giocano dentro l'acqua.
Porto le ciocche ribelli indietro, passandovi una mano sopra e continuo a camminare senza una meta vera e propria.
I miei pensieri mi portano ovunque, dall'università ai miei genitori alla cena di stasera.
Penso a cosa dirgli.
«Ehm...»-mi schiarisco la voce, guardandomi intorno per assicurarmi che nessuno mi stia guardando.
«Edward, ascolta...»- comincio, ma poi mi accorgo di aver già sbagliato. Non lo posso chiamare 'Edward', non è il mio migliore amico, è forse il trentenne più potente di Los Angeles.
«Signor Edward, le devo confessare un fraintendimento. Non sono quella che lei crede che io sia...»- non riuscirei mai a usare il congiuntivo, tra l'altro mi bloccherei a 'Signor Edward', anzi a 'Edward', e balbetterei peggio di un bimbo che ha appena iniziato a parlare.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo, mentre mi accorgo di essermi allontanata abbastanza, quindi decido di ritornare indietro.
Osservo l'ora sul mio cellulare per accorgermi di essere già in ritardo.
«Ester?»-sento alle mie spalle, ma evito di girarmi come faccio di solito, spiando la gente incuriosita.
«Ester!»-questa volta la voce si fa sempre più vicina, tanto che poi sento una mano poggiarsi sulla mia spalla.
Mi volto leggermente spaventata, molto probabilmente mi hanno scambiata per un'altra, ma non appena mi giro il cuore mi sale in gola e spalanco gli occhi, mentre Edward è in piedi davanti a me con il respiro affannoso:
«Ester, ti stavo chiamando da prima, ma non mi hai ascoltata.»-allunga una mano e afferra la mia, mentre io rimango imbambolata e l'osservo baciare la mia mano.
Chi è Ester?
Vorrei chiederlo a lui, ma mi rispondo da sola, dato che mi ha presa per un modella, dunque di nome Ester.
«Cia-ciao!»-mi affretto, dimenticandomi per un momento di respirare.
«Aspettavo di incontrarti stasera, ma a quanto pare il destino ha voluto farci una bella sorpresa.»- il suono della sua voce è così bello e i suoi occhi così profondi che mi dimentico di ciò che volevo dirgli poco fa, quindi cerco di formulare una frase dal senso compiuto.
«Già, stavi correndo?» mi aggiusto velocemente la coda, mentre iniziamo a camminare lungo la spiaggia.
«Si, questo corpo non si forma da solo.»-si vanta, mostrando i lievi accenni di muscoli intorno alle sue braccia. Mi perdo nel fissare la sua pelle abbronzata, mentre i suoi capelli sono perfettamente portati indietro: è bello anche con la pelle bagnata di sudore!
«Se vuoi ti accompagno a casa, così potrai ricambiarti. Poi ti porto in un ristorante, invece che a casa mia. Una come te merita molto più di una semplice cenetta.»-mi fa l'occhiolino, mentre io mi sciolgo letteralmente, ma poi realizzo la sua proposta. La mia casa è la stanza 5×7m al primo piano di casa tu!
«Ehm, no, non ti disturbare!»- mi affretto, per poi continuare-« Ho l'appartamento qui vicino, ci metto poco a prepararmi, alle otto sto davanti a casa tua.»-non so se pentirmi o meno dell'avergli dato del 'tu' e soprattutto per avergli mentito spudoratamente.
Dovrei dirgli la verità!
«Almeno dammi l'indirizzo e ti vengo a prendere.»-dice, mentre io penso a un'ennesima menzogna da raccontare.
«Non mi piace essere trattata come una principessina, è uno dei miei principi, ti prego di non offenderti.»-mi mordo la lingua senza guardarlo negli occhi.
Sobbalzo quando la sua mano si poggia sulla mia spalla.
«Sei una donna indipendente e mi piace.»-dice, poi avvicinarsi e lasciare un bacio sulla mia guancia.
«Ti aspetto, allora!»- mi volta le spalle, mentre io mi prendo la faccio a schiaffi mentalmente non appena lo perdo di vista.
Quel ch'è fatto è fatto!
Ora, il problema è: come faccio a chiedere il permesso alla vecchia? E poi che cosa mi metto? Essendo una modella forse lui si aspetta tanto di Gucci o Dolce&Gabbana, ma il meglio che ho è un vestito corto di Marc Jacobs e un completo di Oscar de la Renta.
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James, The Bodyguard || ©Tutti I Diritti Riservati
ChickLitCostretta a lavorare per permettersi l'ultimo anno di università, Hannah ascolta il consiglio della madre e accetta di diventare la cuoca del ricco signor Gordon, in una villa. Qui conosce i suoi figli, tra cui quello maggiore. Gli bastavano quei 30...