Capitolo 18.

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Erano passati solo due giorni da quando ero tornata a vivere nella mia vecchia casa, nella mia vecchia camera con lo stesso arredamento di qualche anno fa, ancora un po' bambinesco ma che comunque adoravo per via dei tanti ricordi che portava con sé, e dulcis in fundo ero tornata a vivere con quei due quasi sconosciuti dei miei genitori. Così era come li avevo classificati quel giorno dopo lo sfogo con Zayn. In fin dei conti non sapevano nulla di me nonostante mi avessero visto nascere. O forse anche in quel momento, mentre nascevo, loro due erano impegnati a parlare dei loro affari senza nemmeno degnarsi di prendermi tra le braccia lasciando quel compito all'infermiera di turno o chiunque altro si fosse trovato lì in quel momento.

Ed ecco che quella odiosa sveglia prendeva a suonare dopo tanto tempo passato chiusa all'interno della confezione con la quale era uscita dalla fabbrica. Era nuova di zecca, comprata giusto da poche ore, eppure sapevo che non vedeva l'ora di finire in mille pezzi sul pavimento. Ma ero partita prevenuta, per cui avevo fatto una scorta di sveglie sufficienti per circa tre mesi. Quel giorno ricominciavano le mie giornate di servizio forzato al carcere, ossia la scuola.

Mi domandavo spesso come facessero alcuni, tipo i secchioni, ad essere felici di andare a passare 30 ore settimanali in quel luogo.

Da tempo ormai mi ero imposta che se un giorno sarei diventa un qualche presidente con potere decisionale, beh, quel giorno avrei abolito tutte le leggi sulla scuola, e demolito ogni struttura ad essa dedicata. Certo, questo fin quando quel giorno mi ricordai che sarebbe stato il mio ultimo anno da studente e perciò poco me ne fregava del resto della gente. Che si godessero tutti quelle torture che io e chiunque altro con me o prima di me abbiamo sopportato. Lo so, non ero per niente altruista, piuttosto la classica stronzetta egoista di turno. Direi che mi sarei odiata anche io da un altro punto di vista.

«Victoria dai! Ma stai ancora a letto? Farai tardi.» Ecco che da dietro la porta strillò come una cornacchia quella che era mia madre.

Se iniziava dal primo giorno non so proprio come sarebbe finita.

Iniziai col guardare l'ora: le 7:46.

Bene Alice sarebbe stata davanti casa tra meno di quindici minuti ed io ero ancora tranquilla nel mio letto ad una piazza e mezzo. Era opportuno alzarsi.

Mi sistemai in fretta e furia, e dopo aver preso la mia borsa con qualche quaderno e un astuccio che buttai dentro a casaccio senza nemmeno controllare che ci fossero penne funzionanti -che tra l'altro avevo trovato in casa, risalenti a qualche secolo prima-, scesi di sotto e uscii saltando anche la colazione, che tanto avrei fatto passando dal mio nuovo amico barista.

Alice stava già fuori ad aspettare e non appena mi vide attraversare l'uscio della porta nera mi fece una scenata sui miei orari, la puntualità e quelle cosette lì. Ovviamente non mi scalfii nemmeno un pizzico. Dopo passò a discorsi più "seri".

«Sai, quel cazzone di mio fratello mi ha fatto una testa enorme per giorni, dicendo che si fosse iscritto di nuovo a scuola.» sganciò la bomba sapendo che il discorso mi sarebbe interessato.

«E scommetto che tu gli hai creduto.»

«Sì. E invece alla fine oggi provo a svegliarlo e mi dice: "Rimbambita è oltre un anno che non ci vado più, lasciami dormire." Ce ma ti rendi conto? Mi ha preso in giro tutto il tempo.» in tutto ciò io risi di brutto immaginando la scena tra i due.

«Beh, mi dispiace per te.» fu l'unica cosa che seppi dirle dopo aver ripreso fiato.

Vidi che eravamo arrivati al ELEM, così la tirai per un braccio fino all'entrata.

«Ah bene, ci voleva pure la tua colazione.» sbuffò roteando gli occhi.

«Tranquilla, ci metteremo poco.»

Il fratello della mia migliore amica è uno stronzo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora