28. Minneapolis

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Si fecero l'una e mezza di notte dopo che uscii dalla stanza di Ashton.
Oltre ad aver chiarito, avevamo ripreso a parlare un po', come prima della litigata fatta, e la cosa mi fece solo piacere.

Appena rientrai in camera mia e di Luke, accesi le luci e la prima cosa che mi saltò all'occhio fu proprio Luke seduto sul letto con lo sguardo rivolto verso la porta, quindi verso la sottoscritta.

"Pensavo stessi dormendo" gli dissi io chiudendo la porta e andandomi a sedere sul letto.
"E perdermi la tua figura di merda e non rinfacciarti che avevo ragione? Sei matta?" mi rispose lui scherzando e io scossi la testa.
"Sei sempre così simpatico" commentai io, appoggiando la schiena contro al materasso,  stanca un po' per tutto quanto.
"Dai dimmi com'è andata alla fine" mi incoraggiò lui.
"Abbiamo fatto pace e parlato del più e del meno"
"SI! Te lo avevo detto che avevo ragione e che-, no aspetta" si corresse lui all'ultimo, cosa che mi fece sorridere vittoriosa.
Mi sedetti e lo guardai con uno sguardo trionfante.
"Ti ha perdonata?" Il suo tono era chiaramente sorpreso e sconvolto allo stesso tempo. Io risi internamente.
Annuii e stavolta fui io a dirgli che glielo avevo detto che fare le cose a modo mio sarebbe stata la cosa migliore, come infatti si era rivelato.
"Ah beh, sono contento per voi allora" fece finta di nulla lui, ma nel profondo sapevo che il suo povero orgoglio era stato ferito da me. "Già, adesso mi sento molto meglio" spiegai io.

"E con Andrew invece?"
Perché Luke aveva deciso di tirare fuori proprio quel discorso?
"Non voglio pensare a lui" sviai il discorso perché davvero non volevo pensarci. L'ultima volta che l'avevo sentito era quando mi aveva chiamato lui. Da lì in poi non ci era stato nemmeno un messaggio tra di noi.
Forse l'unica che aveva sue notizie poteva essere Jo poiché aveva la possibilità di vederlo all'università.
"Perdonami... te l'ho chiesto senza pensarci" si scusò il mio amico, guardandomi con uno sguardo mortificato.
"Non ti preoccupare Luke. Presto passerà" O almeno lo speravo. E detto ciò, spensi le luci e mi abbandonai ad un sonno profondo pieno di conversazioni con Ashton e ricordi con Andrew.

***
Per tutta la durata del volo verso la nostra prossima meta, Minneapolis, non guardai il telefono. Non feci altro che parlare con i ragazzi del più e del meno e ascoltare la musica con Ashton e Calum.

Entrambi, non seppi perché, ma sembrarono molto interessati a farmi scoprire nuove canzoni e infatti, per la prima metà del viaggio, non fecero altro che litigare su quale cantante o band valesse la pena che mi ascoltassi e io tutto il tempo risi, contenta e sollevata per essere ritornata a stare in un clima così piacevole con i ragazzi.

Se i primi giorni San Francisco mi era mancata come l'aria, in quel momento non la sentivo la sua assenza. Cioè, era chiaro che Jo mi mancasse molto, ma non potevo, per esempio, dire lo stesso di Andrew. A quel punto nemmeno sapevo se stessimo ancora insieme.

E proprio perché la vita ce l'aveva con me, appena scesi dall'aereo ed eravamo in procinto di recuperare le nostre valigie all'aeroporto, mi decisi a guardare il telefono e mi ritrovai tre chiamate perse da parte sua. Dopo tre giorni si era deciso a farsi risentire e non seppi bene come prendere la cosa.

Restai per almeno qualche minuto a fissare il mio cellulare non sapendo cosa fare e cosa pensare. Mille cose cominciarono a passarmi per la testa.

Voleva scusarsi per la scenata? Aveva visto il discorso di Ashton al concerto della scorsa sera? Voleva chiudere definitivamente? Voleva continuare ad insultarmi perché non aveva nient'altro di meglio da fare?

"Leslie, qui c'è la tua valigia"

Mi ripresi solo quando sentii la voce di Calum. Mi guardai per un attimo attorno.
Vidi almeno un migliaio di persone tutte attorno a me che correvano e per un istante mi sentii disconnessa da tutto e tutti.
Guardai Calum e i ragazzi alle prese con i loro bagagli, ma mentre li guardavo non riuscivo a pensare a nulla.

Photograph • Ashton IrwinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora