Vivere da sola non mi ha mai spaventata.
Ci sto bene in casa con me stessa, coi miei pensieri e le mie abitudini. La verità è che sono anche costretta a farlo, negli ultimi anni non hanno fatto altro che trasferirmi a destra e a manca senza mai assegnarmi una cattedra fissa.
Sono stata per anni una supplente, una tappabuchi, una di quelle insegnanti che non hanno un ruolo ben preciso. Lo sono stata, ma adesso non lo sono più. Ebbene sì, ho ottenuto la mia prima cattedra, questa è la mia prima vera occasione di insegnare ciò che ho studiato.
Adesso non sono più una professoressa qualsiasi, sono la professoressa Giulia Clarke, insegnante di inglese, nata da madre italiana e padre inglese, insegnante universitario di lingue.
Sorrido tra me e me mentre scruto con attenzione lo scaffale della pasta per cercare l'offerta migliore. L'ennesima prima spesa per una nuova casa, l'ultima nuova casa, si spera.
Mi sono trasferita in una città che non conosco, in cui non ero mai stata prima, senza amici né conoscenti. Un nuovo inizio, lontana dall'uomo con cui ho vissuto fino a un anno e mezzo fa, lontana dalle sue menzogne, dalla sua prepotenza.
Mi è difficile dimenticare quello che ho vissuto in quel periodo, ma per fortuna ho la possibilità di voltare pagina, di avete la libertà di essere completamente me stessa e provare a rendere la mia vita migliore, più bella, più colorata. Voglio diventare una donna nuova o, semplicemente, riscoprire quella che sono stata fino a qualche tempo fa.
Nel bel mezzo delle mie riflessioni, sento il mio telefono vibrare da dentro la borsa. Lo tiro fuori, è mia madre.
- Pronto! - rispondo.
Segue una telefonata piena di domande, mi chiede se sto bene, se mi sono sistemata nella casa nuova, se mangio, se dormo... Dio, sono una donna di trentun anni, mica una ragazzina di quindici!
Riesco a liberarmi di lei in pochi minuti dicendole che sto facendo la spesa, così chiudo la telefonata e infilo il telefono in borsa. Ma quando tiro fuori la mano da essa, per sbaglio, trascino fuori il mio specchietto che cade sul pavimento del supermercato.
Mi chino per raccoglierlo, ma un'altra mano lo fa al posto mio.
- Grazie! - dico lanciando una rapida occhiata all'uomo che me lo porge, dopodiché lo metto in borsa in borsa.
- Giulia? - dice.
Alzo lo sguardo di scatto, come fa a conoscere il mio nome?
Quando i miei occhi incrociano i suoi, mi blocco all'istante. Ha degli occhi meravigliosi, luminosi, grandi. Riesco a cogliere una certa malinconia, ma allo stesso tempo una bellezza che mi paralizza. Questa cosa mi è accaduta una sola volta in vita mia e si trattava di...
Oh cazzo!
- Sì. - dico incredula.
- Giulia Clarke, 3^ B! - dice e il suo sguardo viene illuminato da uno dei più bei sorrisi che abbia mai visto.
- Sei... - sbatto un paio di volte le palpebre per riuscire a creare una frase di senso compiuto. - Sei Ermal Meta, 3^ A... - constato. - Wow, tu... Sei diverso!
- Davvero? - sorride imbarazzato, ma non è lo stesso imbarazzo di quando era ragazzino, è un sorriso più sicuro, un imbarazzo più maturo, più consapevole.
È diventato un uomo, un bellissimo uomo: i suoi capelli corti, mossi e disordinati, adesso sono dei riccioli ribelli che gli ricadono disordinati davanti agli occhi. Ma quegli occhi, quelli sono sempre gli stessi di diciotto anni fa e riescono a farmi ancora lo stesso effetto, come diavolo è possibile?
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Voce del verbo Sbagliare
FanfictionERMAL META FANFICTION Cosa accadrebbe se il destino facesse in modo che due persone apparentemente lontane, si rincontrassero dopo anni? Una storia piena di sbagli, a volte commessi per il semplice terrore d'amare. N.B.: La storia non parla dei Meta...