Epilogo

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In questa bellissima giornata di sole, alcuni ragazzi si sono recati in cortile per la ricreazione. Li osservo dalla finestra mentre soffio sul mio caffè e un po' invidio la loro spenzieratezza. A volte mi piacerebbe tornare a preoccuparmi solo dei vestiti da indossare o di qualche capitolo da studiare...

- Professoressa Clarke! - mi giro di scatto, la voce di Ivan mi ha appena distratta dal corso dei miei pensieri.

- Ivan! - lo osservo meglio, non porta il cappello e i suoi capelli dorati sono raccolti in un codino più basso, poiché gli sono cresciuti. - Non sei venuto a scuola? - gli chiedo notando la sua tracolla sulla spalla.

- No. - risponde. - Non verrò più. - annuncia con un sorriso triste.

- Cosa? Perché?

- Vado da mio padre, a Berna, in Svizzera. Parto domani e sono passato a salutarla.

I suoi occhi azzurri come il mare sono pieni di tristezza, pieni di una malinconia che mi è familiare.

- Ma perché? - gli chiedo.

- È meglio così! - risponde facendo spallucce. - Mio padre è uno stronzo, ma è pur sempre mio padre. Me la caverò.

Vorrei non avere l'espressione di una che sta per piangere, in questo momento, ma temo di non riuscire a controllare facilmente le mie emozioni, non come vorrei.

- Ma i tuoi voti erano... Tu stavi recuperando. - gli ricordo.

- Mi diplomerò, se si preoccupa per questo! - mi sorride. - Ma devo andarmene, mia sorella deve... Farsi una vita ed io sono un casino, non può badare per sempre a me. - spiega.

- Sei in gamba, Ivan, ti auguro di realizzare tutti i tuoi sogni e... Ti ringrazio per essere venuto a salutarmi.

Sorride e alza le spalle.

- Anche lei è in gamba! - dice, poi si avvicina, incerto se abbracciarmi o meno, ma io lo anticipo.

Così ci stringiamo in un tenero abbraccio, dopodiché lui si scosta imbarazzato.

- Allora... Io vado. - dice per poi voltarsi e iniziare a camminare.

- Ivan! - lo chiamo prima che possa andarsene.

Ivan si gira con espressione interrogativa.

- Non abbandonare mai la musica. - dico come se fosse un ordine.

Sorride, scuote la testa e riprende a dirigersi verso l'uscita.

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Se mi chiedessero cos'è la felicità, probabilmente non sarei capace di rispondere.

Non so cosa sia esattamente. Forse è una persona, quella a cui si tiene di più al mondo. Magari è un posto, un sentimento, uno stato d'animo o magari tutte queste cose messe insieme.

Forse la felicità e il pancione di Margherita che si arrotonda sempre di più o la luce che emanano gli occhi di Luciano mentre lo accarezza. Forse è quella della preside davanti al piccolo concerto che abbiamo fatto qualche giorno fa, a conclusione del progetto scolastico di musica. Forse è quella di Ermal che suona la sua chitarra nel relax della sua saletta. Forse la felicità è quella che provo io davanti al sorriso soddisfatto dei miei alunni che ricevono un ottimo voto meritato.

Oppure è quella che provo quando stringo Ermal tra le mie braccia, quando i nostri baci non sembrano mai abbastanza, quando chiacchieriamo di possibili progetti per il futuro.

Non si dovrebbe mai affidare la propria felicità ad una persona, nessuno dovrebbe essere la causa della nostra felicità se non noi stessi.

La mia, infatti, non consiste solo e unicamente nella presenza di Ermal nella mia vita, bensì nella consapevolezza di essere cambiata. Penso di essermi buttata alle spalle la maggior parte dei miei fantasmi, degli orribili complessi che avevo acquisito durante la mia vecchia relazione.

Voce del verbo SbagliareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora