<<Perché sei corsa via?! lo so che per te è difficile, ma devi fare attenzione, potrebbero trovarti>> mi rimproverò la signora Mill. Una donna sulla quarantina, alta dai capelli rossi rigorosamente trattenuti in uno chignon e gli occhi scuri.
Non risposi. Non lo avrei mai detto, a nessuno. Lo diceva sempre: "sorridi sempre, tu sei una guerriera e le guerriere anche se va tutto male vanno avanti" allora sorrisi, ricordando ciò che mi diceva.
<<Lasciamo stare, non c'è tempo. Devi andare>> riprese andando verso casa.
<<Ma avevamo detto che sarei rimasta qui...non voglio lasciare questo. Voi avete bisogno di me>> la interruppi. Lo avevano ripetuto tante volte che dovevo allontanarmi da quel casino creatosi negli ultimi anni ma loro avevano bisogno di me e per niente al mondo li avrei lasciati così.
<<Invece andrai insieme a Jonathan e Clary>>
Jonathan e Clary.
Non gli ero mai andata a genio, si erano sposati più o meno 10 anni prima e da allora non li avevo più visti fino a quando, un giorno di 2 anni fa arrivarono e da allora cominciai a conoscerli nonostante ci fosse sempre un certo astio tra noi.
<<No!>> protestai con fermezza, guardandola negli occhi.
<<Tesoro, lo capisco che per te tutto questo è difficile, ma è fondamentale che tu vada in francia, abbiamo già>> non la lascia finire la frase <<in Francia no, lui...>>
"Un giorno andremo in francia a mangiare cornetti" mi disse sorridendo "si chiamano croissant"
"Si come vuoi" aprì un libro di testo "ma prima dovrai imparare la lingua"
"Io il francese lo so, casomai sei tu che dei impararlo"
<<Ok, non devi per forza se non vuoi>> rispose comprensiva. Lei lo sapeva bene come mi sentivo e non mi avrebbe mai costretta ad andare da nessuna parte <<però non so dove altro potresti andare che sia sicuro>>
<<Italia(?)>> tentai, lei ci rifletté un po' <<bene, partirete domani mattina presto>> si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla guardandomi dolcemente <<andrà meglio, lo sai vero?>> fece segno di assenso e lei se ne andò, lasciandomi da sola, ma in fondo lo ero sempre stata prima di...
Tornai dentro poco dopo e mi cambiai, per poi andare al "campo d'allenamento" che avevamo costruito, mi feci una coda alta e cominciai a dare pugni al sacco da box.
E ci misi tutto.
La rabbia, il dolore, la tristezza, la malinconia, ci misi la sofferenza, ci misi... l'amore che mi era stato tolto, un altra volta. Perché la vita va avanti con o senza di te, senza chiedere, senza avvertirti e io impersonai la vita in quel sacco da box. E urlai ad ogni pugno mentre sul sacco si formavano dei solchi, ma non piansi, non più.
"Quando ti sentirai frustrata usa questo e sfogati, così" diede un pugno e io imitai "e quando ti sentirai triste, tu danne un altro" e ne diede un altro ancora "e quando penserai quanto faccia schifo la vita, tu danne così tanti da lasciare dei solchi" e cominciò a dare pugni e io continuai ad imitare, ci provavo, con le mani piccole che davano pugni quasi a caso.
<<Quando mi sentirò frustata>> diedi un pugno <<quando mi sentirò triste>> ne diedi un altro <<quando penserai a quanto faccia schifo la vita>> diedi un pugno creando un solco profondo e poi sferrai un calcio. Le lacrime non volevano scendere, non DOVEVANO scendere e se lo avrebbero fatto io le avrei ricacciate dentro.
"Lo sapevo a cosa stavi pensando anche se non hai voluto dirmelo" tolsi la felpa e slegai i capelli facendoli ricadere sulle spalle "e avrei dovuto fare qualcosa ma non l'ho fatta" picchiai quel sacco da box come non aveva mai fatto in 15 anni e continuai anche quando le mie mani mi gridavano pietà, anche quando tutto mi diceva di fermarmi e anche quando le nocche cominciarono a sanguinare.
"Ma non devi farti male" mi avvertì prendendo tra le sue mani la mia chiusa a pugno.
"Se mi faccio male diventi trite?" chiesi ammorbidendo il pugno e girandomi verso di lui "si dice triste piccolina, ma sì. Se tu ti facessi male sarei triste a vita" rise alla sua drammaticità, ma poi tornai seria "allora ti plometto che non mi farò mai male".
Mi fermai con il pugno a mezz'aria "glielo avevo promesso" portai le braccia lungo i fianchi, i capelli erano visibilmente scompigliati: non poteva fregarmene di meno. Il viso era rosso, ma non mi importava neanche di questo. Guardai le mani notando il sangue "non volevo succedesse questo" le rimise lungo i fianchi e alzai gli occhi al cielo per la seconda volta in quella giornata.
<<Non è come dicevi tu, non è per niente come dicevi>> sentivo chiaramente un groppo in gola.
Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo.
Medicai le ferite sulle nocche andando poi in camera mia.
Rientrando li avevo visti tristi e volevano chiaramente sapere come stessi, eppure, non ce la facevo a parlarne.
Mi affacciai alla finestra non riuscendo a dormire, sapevo che erano dietro la porta incerti se bussare o meno.
<<Give me love like her 'cause lately I've been waking up alone paint splattered teardrops on my shirt told you I'd let them go and that I'll fight my corner maybe tonight I'll call ya after my blood turns into alcohol. No, I just wanna hold ya, give a little time to me or burn this out we'll play hide and seek to turn this around all I want is the taste that your lips allow...>>
Restarono lì, dietro alla porta ad ascoltarmi, consapevoli che io sapevo fossero lì e in quel loro insignificante gesto di lasciarmi sola, li ringraziai.
Fu una notte di ricordi, di momenti bellissimi, di nostalgia. Quella notte fu la prima notte in cui mi addormentai senza sentire una voce cantare. Seppur avessi 15 anni, cantava sempre per me facendomi addormentare e mi accarezzava i capelli come per dirmi "sono qui...non ti succederà niente", ora, però, non era più qui...
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Una "storia a metà"
FantasyATTENZIONE! Ho scritto questa storia tempo fa e ci sono diversi errori e alcune incoerenza (modo gentile per dire che fondamentalmente fa schifo) , quindi ho deciso di non continuarla. Lascerò questa storia qui intatta perché mi ci sono affezionata...