Ci precipitammo fuori e rimanemmo fermi, sulla soglia, in attesa di qualcosa.
All'improvviso sentimmo delle urla, in lontananza e viaggiai con la mente in quella direzione tirando poi un sospiro di sollievo.
<<Ci sono i fuochi d'artificio>> dissi solo camminando verso le urla e loro si misero a correre come bambini superandomi.
Che, forse, lo erano davvero: dei bambini.
Non sapevano niente di ciò che veramente c'era lì fuori ad aspettarli. Non sapevano quanto potesse essere crudele il mondo.
Non sapevano che i "buoni" e i "cattivi" alla fine non esistevano.
Esistevano solo scelte giuste e scorciatoie contorte.
Si, a pensarci...loro erano proprio dei bambini.
Arrivati vicino ad una casetta poco lontana da dove stavamo noi, vedemmo i genitori di Jace e altre persone che non conoscevamo fisse a guardare il cielo.
Anche i miei compagni si misero a guardarlo e quando partì l'ennesimo boato alzai gli occhi al cielo per vedere le fiammette farsi sempre più deboli fino a dissolversi.
"Voglio vedere i fuochi! Marco, Elisa e Dean possono! perché io no?!" mi lamentai gesticolando in aria senza un apparente motivo
"Loro sono grandi, tu non staresti abbastanza attenta" disse con voce calma sperando cambiassi idea ma per i miei 9 anni ero già una ragazzina determinata e continuavo ad insistere con valid motivi la mia causa mentre, sempre con voce pacata, li respingeva tutti.
Sembrava tanto un processo del tribunale, uno di quelli che avevo visto solo in tv.
Alla fine ci ero andata lo stesso, nascosta dietro ad una delle colonne. Senza farmi vedere da nessuno e quanto ero stata felice andando a letto?!
Era impresso nella mia mente quel ricordo, come vernice che non si asciuga. Era uno dei più belli, uno dei più tranquilli. Io che di tranquillo non avevo quasi niente se non il mio finto stato d'animo.
Restarono ad ammirare quei fuochi mentre a me, oramai, ricordavano solo le esplosioni e grida di persone disperate che non riuscivo a reprimere. Venivano a galla e neanche ero sicura di starci provando, a tacerle.
Non erano neanche lontane, erano macerie e fuoco, come infuocata era la sensazione.
Era distruzione, come il sangue che mi scorreva nelle vene.
Era il risultato della mia esistenza.
<<Elisa>> mi girai a guardare Jace <<sei più bella quando sorridi>> bisbigliò in modo che solo io potessi sentire.
Si rigirò subito dopo per continuare ad ammirare il cielo e poco dopo, quando i fuochi finirono, tornammo dentro tutti insieme.
Il giorno dopo passammo tutto il tempo a parlare e provammo anche a cucinare una torta ma, dopo non aver ascoltato i miei consigli, il dolce non venne come sperato e alla fine, verso pomeriggio, eravamo in viaggio verso casa.
Mi buttai sul letto sfinita dalle mille domande poste dei genitori di Henry, da Clary e Jonathan.
Mi cambiai mettendo dei leggins neri, una felpa bianca e azzurra col cappuccio e il top grigio. Se stavo a "casa" volevo almeno stare comoda.
Tornai di sotto solo quando la mia mente non riusciva più a ricordare quelle grida. Era un vortice di pensieri, la mia testa; pensieri sconnessi.
Un momento volevo piangere, quello dopo pensava ai miei genitori e alla mia famiglia; quello dopo ancora a tutte quelle grida e anche se cercavo in tutti i modi di tenermi lontana da quell'ultimo ricordo troppo vivido, a volte, ci tornavo...tornavo anche lì con la mente.
Stavo morendo dentro e nessuno se ne accorgeva.
Passando davanti ai miei "inquilini" che parlavano allegramente, andai in palestra.
Ero sempre , costantemente, arrabbiata con questa vita di merda che mi era stata data.
Non le persone, erano le esperienze.
Perché mentre gli altri bambini nel mondo giocavano in giardino io, già dalla tenerà età di 6 anni, volevo fortemente buttarmi fuori dalla finestra o giù da un tetto.
Talvolta, chiudevo gli occhi, sperando di non aprirli più. Sperando di andare in un posto più bello e se fosse stato più brutto poco importava.
Quel sacco da box, era la vita e io cominciai a prenderla a pugni. Neanche ci pensavo più ai guantoni, i quali, adagiati su un mobile della palestra, aspettavano solo di essere usati.
La vita non ti dava protezioni, non le avrebbe mai date a nessuno.
Forse dovevo solo diventare più forte...dovevo diventarlo e poi tornare a casa.
Quella vera. Quella dove, la mattina si sentiva odore di caffè della signora Mill; dove quando entravi in cucina vedevi il signor Mill leggere un libro; dove Marco e Dean mi aiutavano con i compiti e Jess mi addestrava insieme a... no, non c'era più...
Ma volevo tornare a sentire Charlotte con la sua pronuncia infantile e la r moscia, parlare con Elisa e Carla perché di ragazze c'eravamo solo noi per fare pettegolezzi.
Perché prima, parlavo tanto, certo più di ora; perché prima sorridevo sempre, ma solo a casa perché poi, davanti a ciò che si trovava fuori, era impossibile sorridere.
Ormai mi erano rimasti solo i ricordi, sulla pelle; solo le sensazioni, sul cuore.
Ricordi sbiaditi di giorni annebbiati da sensazioni vissute troppo velocemente.
<<Se continui così ti romperai le mani>> ghiaccio. Era solo, e unicamente, una voce ghiacciata...
La puntualità, da come avrete capito, non è di certo il mio forte.
Spero vi stia piacendo e, se volete, consigliatela pure agli amici che mi fare piacere avere più opinioni su questa storia.
Se avete consigli da darmi, dubbi o pensieri su questo mio racconto scrivetemi pure in privato.
Scusate ancora per l'orario, da domani cercherò di pubblicare di pomeriggio o comunque prima delle 21.
Baci, abbracci e al prossimo capitolo...
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Una "storia a metà"
Viễn tưởngATTENZIONE! Ho scritto questa storia tempo fa e ci sono diversi errori e alcune incoerenza (modo gentile per dire che fondamentalmente fa schifo) , quindi ho deciso di non continuarla. Lascerò questa storia qui intatta perché mi ci sono affezionata...