Capitolo 11

866 53 47
                                    

Bryan

"Scusa"

Come può una stupida parola stravolgerti l'anima? Come può una sola parola mandarti il cervello in pappa, facendoti dimenticare all'istante tutte le emozioni negative?

Non me lo so ancora spiegare, so solamente che a causa di quella parola dimenticai la rabbia provata. O perlomeno, la dimenticavo nel momento in cui rispondevo alle continue chiamate di mio padre.

Ogni volta che gli parlavo, scoppiavo in lacrime e lo imploravo di tornare. Lui mi prometteva che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che sarebbe tornato a casa e che sarebbe tornato tutto alla normalità.

Chiamava me perché ero il più fragile, perché ancora non potevo accettare di averlo perso per sempre. Del resto, non lo sapevo.

Ero un bambino stupido, che si faceva ingannare dal tono dolce con il padre gli si rivolgeva. Un bambino che pendeva dalle sue labbra, dalle parole del suo personale eroe, che si era rivelato un mostro.

Perché si sa, i veri mostri si nascondono in mezzo a noi, camuffati da ingannevoli maschere.

Lo capii solamente più tardi, quando mi accorsi del suo immutabile cambiamento.

Iniziò a chiamarmi solo da ubriaco, e blaterava parole che celavano a stento un profondo disprezzo rivolto alla mia famiglia. Non sembrava rimpiangere nulla.

Ero deluso, ferito, infuriato. Quello che potevo fare era solamente ignorarlo. Ma feci molta fatica perché mi mancava.

Mi mancava sentirlo rincasare la sera tardi, sentire le risate della mamma ogni volta che diceva qualcosa di buffo. Mi mancava vederlo consolare la mamma quando era giù, afferrandole una mano e facendola ballare per il salotto. Mi mancava vedere i film con lui, passarci la palla da football mentre tentava di spiegarmi le regole. Mi mancava passare i sabato sera sul divano tutti insieme a guardare i film, andare a vedere le partite di Jason insieme o le recite di Avril. Mi mancava sentire la sua voce divertita ogni volta che gli raccontavo dei guai che combinavo a scuola, sentirlo ridere e vedere il suo sorriso.

Mi mancava e mi manca tutt'ora.

Gli anni passarono e la rabbia nei suoi confronti si affievolì. Io e la mia famiglia non parlammo più di quella notte, e piano piano ci riprendemmo.

Ma mentre gli altri lo aveva perdonato (o meglio, avevano rimosso quasi completamente dalle loro vite papà e i ricordi legati a lui), io mi ostinavo a mostrare costantemente la mia rabbia. Era l'unica emozione che mi faceva sentire più forte, e non debole come ero stato da bambino.

La rabbia era l'unico modo per dimostrargli che non poteva più abbindolarmi con le sue parole illusorie.


1 anno prima

Il telefono squilla da ore e sono tentato di scagliarlo contro il muro, pur di farlo smettere.

Ho spento la suoneria, ma le chiamate non hanno smesso di arrivare. Se continuerà così, di certo il mio telefono esploderà.

Premo l'icona verde e accosto il telefono all'orecchio.

-Alla buon'ora! Sono ore che provo a chiamarti!- esordisce mio padre, palesemente ubriaco ma con un tono di voce stranamente basso e flebile.

-Non hai pensato che magari stessi ignorando volutamente le tue chiamate? Dopotutto, è da giorni che non ti rispondo né ti richiamo-

-Infatti mi ero preoccupato! Stavo quasi per venire da te, per controllare che fossi vivo! E otto ore di macchina non sono di certo poche! Sai, non ho abbastanza soldi per permettermi un biglietto aereo- fa una pausa nella quale sento una risata amara - A malapena riesco a pagare la retta mensile per vivere in questo minuscolo buco- aggiunge in un sussurro.

Mi acciglio -Minuscolo buco? Ma non vivevi in una villa a Toronto?-

-Questo prima di perdere il lavoro. Se avessi risposto ad una delle mie chiamate, lo avresti saputo. Adesso vivo sempre a Toronto, ma in un appartamento che potrebbe crollare da un momento all'altro- si ammutolisce un secondo, poi il suo tono si fa serio -Mi manca moltissimo casa mia. Sai che avevo deciso io l'appartamento da acquistare? Tua madre lo voleva al piano terra, ma io mi sono opposto. Era troppo piccolo per farci giocare dei bambini. E in effetti avevo ragione. Mi ricordo ancora quella volta in cui tu e i tuoi fratelli avete giocato a Just Dance per tutta la notte. Avevi sei anni. Vi siete divertiti come matti, quella sera. Così come tante altre...-

Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, durante i quali si sente solo il suo respiro affannato.

Poi un flebile singhiozzo - Se solo potessi tornare indietro... mi sarei goduto di più la vostra infanzia. Mi sarei goduto di più il tempo che abbiamo passato insieme...-

-Ci avresti dovuto pensare due volte, prima di mandare tutto a puttane- sibilo senza riuscire a trattenermi -Sai per quanto tempo abbiamo sofferto? Le ferite possono apparentemente guarire... ma quando fai il movimento sbagliato, si riaprono come niente. Lo stesso vale per le ferite inferte al cuore. Puoi apparentemente pensare di essere riuscito finalmente a metterci una pietra sopra, ma basta una sola parola ... e il dolore riappare improvvisamente, più forte e più straziante di prima-

-Bryan, ti chiedo scusa.-

- Uno scusa non basta, non basterà mai. Sei cambiato, non sei più lo stesso. Le parole che hai detto...le cose che pensavi...- stringo la mano libera in un pugno -Sono talmente spregevoli e ripugnanti che, anche se infondo ti hanno perdonato, rimarranno impresse nella nostra memoria a vita-

-Mi...mi hanno perdonato?- la sua voce trema, come se stesse piangendo.

-La mamma, Avril e Jason, sì-

-E tu?-

-Come potrei perdonarti? Provo disgusto, rabbia, delusione, ho un immensa voglia di prenderti a pugni... no, non ti ho perdonato e mai lo farò. Se fossi tornato, ci avresti inflitto solamente altro dolore. Perché è solo questo, quello che sai fare: distruggere tutto, spezzare le anime fragili delle persone che ti vogliono bene, ferire fisicamente e psicologicamente. Sei un mostro, un mostro senza cuore. Ogni volta che implori perdono, lo dici con superficialità e senza lucidità, dato che sei perennemente ubriaco-

-Ti prego Bryan, perdonami. Posso aggiustare tutto- il suo tono è disperato.

-Hai mai riflettuto sulle tue azioni? Hai mai pensato che, forse, ci avrebbe fatto piacere che fossi venuto di persona a chiederci scusa, al posto di nasconderti dietro ad un telefono e all'alcool?-

-Ci penso ogni giorno. Anche se non sembra, il rimorso mi tormenta, il senso di colpa mi appesantisce il cuore. Il dolore che provo è soffocante, non mi consente di vivere tranquillamente. E il fatto che tu mi continui a rinfacciare tutte queste cose dopo cinque anni, non fa altro che farmi stare male. Non ti sto più chiedendo perdono per le mie azioni passate, ti sto chiedendo perdono per ciò che sto per fare-

All'improvviso non sento più la sua voce, solo il rumore assordante di uno sparo.

Che cosa potrebbe mai andare storto?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora