Capitolo 1

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Audrey

Bevo tutto il caffè d'un sorso mentre corro in camera mia. Mi brucia la lingua, ma è colpa mia se mi ritrovo così. Non avrei dovuto spostare la sveglia di un quarto d'ora. E soprattutto, non avrei dovuto cambiare suoneria. E chi poteva sapere che non mi sarei svegliata sulle note di Stressed Out dei Twenty OnePilots?

Spalanco la bocca tentando di "raffreddare" la lingua mentre saltello per infilarmi i jeans. Quando finalmente ci riesco, mi infilo una maglia larga nera e corro verso il bagno per sistemarmi.

Mi pettino i capelli, tentando di dargli una forma decente. Controllo l'ora e noto che ho ancora dieci minuti prima di dover uscire.

-Audrey, tesoro?- la mamma bussa e socchiude la porta -Tutto bene?-

-Sì, sono un po' in ritardo- rispondo mentre mi passo velocemente il mascara sulle ciglia.

-Oggi prendi l'autobus?-

-Non ho proprio voglia di camminare- ammetto sorridendo e facendole cenno di entrare.

Allora lei entra e mi scocca un umido bacio sulla guancia. Si guarda allo specchio e fa una smorfia.

-Che faccia ho oggi!-

-Se ti togliessi i bigodini...- le faccio notare ridendo sommessamente per non infastidire i vicini -Papà è andato al lavoro?-

-Sì,  è partito per fare quella conferenza in Germania-

-Ah sì, me ne ero scordata- scuoto la testa e arriccio velocemente le punte dei capelli con il ferro.

La mamma intanto si sciacqua il viso e si spalma della crema sul viso. Gli occhi verdi sono assonnati e i capelli scuri ancora avvolti nei bigodini.

-Oggi devo andare a lavorare verso mezzogiorno. Credo che tornerò verso le dieci e mezza...-

-Mi dispiace che tu debba fare questi turni strazianti- mi appoggio allo stipite della porta e la osservo.

-Non preoccuparti! Dopotutto , lavoro in un ristorante. Come cuoca per di più!- esclama fiera per poi sorridermi -Forse è meglio che tu vada se non vuoi perdere l'autobus-

-Va bene, a dopo!- la abbraccio e poi vado a prendere lo zaino. Mi pianto le cuffie nelle orecchie ed esco di casa camminando a ritmo di musica.

Fuori l'aria è abbastanza fredda, ma si sta bene con la felpa. Tanto so che poi, verso le undici, inizierà a fare talmente caldo che vorrò fiondarmi in mare.

Saluto con la mano i miei vicini, che stanno mettendo in moto la macchina per andare al lavoro. 

Vivere in un piccolo appartamento vicino a New York, ha i suoi vantaggi. Per esempio, niente ville enormi con gente che inizia a potare i giardini alle sette del mattino. Essendo solamente in tre, la nostra piccola dimora basta e avanza. Anzi, spesso siamo solo io e mia madre a casa. Ancor più frequentemente, ci sono solo io.

Entrambi i miei genitori lavorano fino a tardi e molto spesso mio padre viaggia per conferenze o urgenti riunioni.

 Avere casa libera per me significa solo una cosa: relax totale. Posso fare davvero ciò che voglio, con i miei tempi. Sono autonoma.

Solitamente esco a passeggiare o passo il pomeriggio sul divano a leggere libri e bere tisane. Qualche volta viene la mia vicina a bere un caffè e porta i suoi adorabili figli. Ogni tanto invito Helen, la mia migliore amica, ma spesso preferisco andare io da lei. Dopotutto vive proprio di fronte al lungo mare e c'è una vista stupenda.

-Salve!- esclamo sorridente ad un'anziana che mi sorride cordiale.

Arrivo alla fermata dell'autobus e inizio a far oscillare il capo per seguire il ritmo. Qualche ragazzo si ferma di fianco a me, ed io li riconosco tutti. Sono due anni che prendiamo l'autobus insieme, ma non ci ho mai parlato. Sono una persona abbastanza riservata e sono sicura che, alle sette e mezza del mattino, a nessuno piaccia intavolare conversazioni.

Che cosa potrebbe mai andare storto?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora