Capitolo 47

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Bryan

Due mesi.

Passano due mesi prima che io riesca a guardarmi allo specchio senza vedere i segni invisibili che Audrey ha lasciato sulla mia anima.

Due mesi. Sessantadue giorni, forse qualcuno di più.

Ore passate davanti alle nostre foto, ai nostri sorrisi che non mi sono mai sembrati più falsi.

Ore a combattere con le mie paranoie, ore a lottare con me stesso e con l'amore che provo per lei.

Tempo perso, occasioni sprecate.

Ho passato due mesi... vuoti. 

Per due mesi mi è sembrato di non vivere.

Mi sono immerso completamente nello studio, nello sport. 

In due mesi i miei voti e le mie prestazioni sportive sono migliorate notevolmente, tant'è che tutti sono complimentati con me, gli insegnanti con mia madre.

Pensavo che con il loro riconoscimento mi sarei sentito meglio, eppure non è stato così: ero comunque irrequieto, agitato da Dio solo sa cosa.

Solo più tardi ho capito che  ad angustiarmi per tutto questo tempo... era stato il dolore che avevo visto il giorno in cui Avril era crollata davanti a me.

Da quel momento ho fatto più attenzione ai comportamenti dei miei familiari, e mi sono accorto che c'era una cosa che ci accomunava tutti: un'ombra scura negli occhi, come un peso enorme a gravare sulle nostre spalle e sulle nostre vite.

Abbiamo sofferto tutti, ma io in passato sono stato così preso dal mio, di dolore, da non accorgermi che attorno a me la mia famiglia si stava perdendo, sgretolandosi giorno dopo giorno.

Quando me ne sono accorto, ho cercato in tutti i modi di provare a tenerla unita, di evitare che cadessero in pezzi. 

Ho avuto paura fosse troppo tardi, che non avremmo mai più risolto.

Che Avril avrebbe continuato a tenersi dentro i ricordi dolorosi della sua infanzia, che mia madre avrebbe continuato a rifugiarsi in soffitta a piangere e a stringere tra le dita una cornice ritraente tutto quello che eravamo stati. Che Jason continuasse ad evitare il discorso "papà", scappando e rifugiandosi in un bicchiere d'alcol. Che io sarei rimasto di nuovo add osservare la disgrazia prendere il sopravvento, il cuore frantumato e tremante, ma le mani immobili. Impotente di fronte al dolore, come lo ero stato da bambino.

Non lo avrei sopportato un'altra volta quindi mi sono deciso e ho parlato con mia madre di quel pomeriggio in cui l'ho vista piangere davanti alla foto di papà.

Abbiamo parlato a lungo, lei si è sfogata e aperta, chiamando con noi anche Jason e Avril.

Non so per quanto tempo siamo rimasti seduti sul divano, le mani strette l'un l'altro mentre la mamma parlava e piangeva, tirando tutto ciò che aveva passato e provato.

Ma man mano che la verità fuoriusciva dalle sue labbra come un fiume in piena, ho sentito il cuore farsi più leggero.

Dopo che ha finito, mi sono fiondato tra le sue braccia, seguito dai miei fratelli, e l'abbiamo stretta tanto da non sentirci più le braccia.

Da quel giorno, che è stato quasi un mese fa, le cose con la mia famiglia sembrano andare a meraviglia.

Mi sono aperto con loro, successivamente, parlando di Audrey e della nostra rottura.

Jason mi ha offerto un bicchiere di birra, mentre la mamma e Avril mi hanno posato le braccia sulle spalle, stringendomi a loro.

Nessuno ha detto nient'altro, e gliene sono grato.

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