Capitolo 21

868 44 58
                                    

Bryan

Come fa Audrey a starmi accanto?

Questa è una domanda che passa spesso per la mia mente, ma che decido sempre di ignorare per non farmi troppi problemi.

Ma ora, nel momento in cui incrocio il suo sguardo dopo aver riso insieme sulla situazione complicata tra lei e Jennifer, questa domanda si ripresenta alla mia mente, ampliando la quantità di dubbi che mi tormentano da giorni.

All'inizio pensavo per lei sarebbe stato facile concedermi di tornare ad essere suo amico e far tornare così tutto alla normalità.

Eppure... avrà dimenticato gli infiniti battibecchi, le parole aspre e dure che le rivolgevo, i miei atteggiamenti freddi e distaccati? 

Probabilmente sì. Ma ogni tanto le torneranno in mente? Che cosa prova quando ci pensa?

Aggrotto le sopracciglia, per niente compiaciuto della piega che i miei pensieri hanno preso.

Fino a poco fa stavo riflettendo su come esplicare tutto ciò che sento, ed invece ora eccomi qui a riflettere sul passato che ha segnato profondamente la nostra amicizia.

Provo a porre fine a quei pensieri poco piacevoli, ma sono come un fiume in piena, e i ricordi mi colpiscono come schiaffi.

Le nostre litigate avevano uno schema preciso che seguivano sempre: lei provava ad avvicinarsi a me, parlandomi con tranquillità e scioltezza. Io poi la provocavo e finivamo per litigare, facendomi arrivare ad allontanarla con freddezza e con parole dure, mirate a ferirla.

Il mio modo di reagire, oltre ad essere ingiustificabile, era anche davvero tremendo, un colpo basso per una persona insicura come Audrey , un colpo basso da infliggere ad una persona così importante per me, alla mia migliore amica.

Ho sempre avuto questo modo acido di reagire quando mi si colpisce sul vivo, eppure con Audrey mi ostinavo ad essere più duro proprio perché era tenace e non mollava.

Quante volte le avevo rinfacciato la sua palese cotta nei miei confronti, quante volte l'avevo derisa per il suo essere troppo appiccicosa e stressante.

Non sei più tu , mi aveva detto un giorno, con le lacrime agli occhi e voce tremante.

Ed erano bastate quelle quattro parole a far crollare quel muro che mi ostinavo a porre tra me e lei. Quattro parole, ed il mio cuore sembrava essersi spezzato.

Il suo sguardo... era sprezzante e ferito. E la consapevolezza che tutto quel disprezzo era rivolto a me, che tutto quel dolore ero stato io a causarlo... era bastato a farmi stringere il cuore in una morsa dolorosa.

Aveva lottato a lungo per rimanermi accanto, per tentare di capirmi. Ma io non avevo ceduto sotto al suo sguardo implorante, che mi chiedeva di smetterla di ferirla.

In modo meschino, colpivo i suoi punti più deboli. La conoscevo tanto bene da conoscerli tutti, dal più insignificante al più ben radicato nel suo fragile cuore.

Dal momento in cui aveva pronunciato quelle parole, avevo sempre cercato di evitarla, non sapendo come reagire o comportarmi.

E proprio nel momento in cui sembrava quasi che fossi rinsavito, nel momento in cui ero pronto ad aprirmi con lei di nuovo, mio padre si era suicidato.

La ferita, che non era ancora chiusa del tutto perché mi rifiutavo di lasciarmi tutto alle spalle, si era riaperta del tutto insieme ad altre mille.

Ed io ero lì, ad affogare nuovamente nel mio dolore, chiuso nella mia bolla di ostinata freddezza e finta indifferenza.

Ma diamine, faceva tutto così male.

Che cosa potrebbe mai andare storto?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora