41. Progetti futuri

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Rientrare al college era sempre una cosa che avevo amato fare. Era stressante ritornare alla vita universitaria, ma sapere di ritrovare i sorrisi di chi ti accompagnava in quei giorni senza fine, era tutto ciò che esisteva di più bello al mondo. Nonostante fossi stata via dal mercoledì alla domenica, mi era mancato tutto ciò che avevo lasciato lì. I ricci profumati di Lucas, il controllo ossessivo compulsivo di Rosie, la spavalderia senza freni di Zac...

Mi ero talmente abituata alla presenza di quelle persone nella mia vita, che sentirne la mancanza era quasi una causa naturale scaturita dalla lontananza, seppur essa fosse stata brevissima. Loro erano quelle piccole meraviglie che mi permettevano di sentirmi a casa in un posto che essenzialmente mi aveva tolto tutto.

Mi ero abituata ai nostri pomeriggi in sala comune, alle nostre risate sommesse per evitare di farci beccare dai professori, ai segreti sottovoce e alle parole che non avevamo bisogno di dire per essere capiti. Mi ero abituata alle caramelle gommose di Lucas, al sempre presente nero di Rosie, alle battutacce di Cognac, alla risata di Zac...

E mi ero abituata anche alla calda pelle di Riley, la stessa che mi era stata sottratta di botto prima che io potessi trovare un modo per riprendermela.

Ma nulla ci apparteneva, in realtà. Niente era di nostra proprietà se non la nostra stessa vita. Colton, per esempio, aveva anche provato a strapparmi quella ma io avevo avuto la prontezza di tenerla stretta a me. Ero ritornata al college con la consapevolezza che tutto sarebbe stato mutato, perché principalmente lo ero anche io.

La consapevolezza di quel cambiamento mi aveva portata ad acquisire la conoscenza di una nuova versione di me stessa, che stavo cominciando ad amare nella sua interezza.

Avevamo appena finito di cenare e ci stavamo rilassando in sala comune. Solo Riley mancava all'appello, che si era dileguato con la scusa dello studio solo per evitare di avermi ancora vicino. Gli faceva male e mi provocava lo stesso dolore al centro del petto.

Cognac era steso sul divanetto sgualcito, un po' consumato dagli anni che erano passati con una velocità assurda. La sala comune era l'unica cosa che non era mai stata modificata, alla Stanford. Secondo i presidi che avevano diretto quella scuola, lasciare immutato quel piccolo pezzo di mondo era come vivere attraverso il tempo. In quello stesso divano, magari quaranta anni prima, qualcun altro si era sdraiato e aveva ascoltato le giornate dei suoi amici. E magari c'erano stati altri Cognac, altri me, altri Zac... o probabilmente quei posti erano stati occupati da gente completamente diversa da noi.

Io ero seduta di fronte a lui, la testa di Lucas era sul mio ventre e la mano di Rosie, seduta dall'altro lato, mi accarezzava i capelli. E poi c'era Zac, nella poltroncina al centro tra i due divani. Mi osservava ancora incredulo della notizia e cominciava a mangiare la sua roba con una certa enfasi.

Passarono pochi minuti, poi la figura di Riley tornò a mostrarsi a noi. Probabilmente non aveva molta voglia di stare di solo, si era seduto accanto a Cognac e aveva osservato il pavimento.

C'era un piacevole silenzio, lo stesso che venne interrotto dall'esuberante Cognac. «Ci pensate?» sussurrò, alzando lo sguardo verso di noi e guardandoci in viso.

Lo guardai, mordicchiando le labbra con aria pensierosa. «A cosa?» presi la mano di Lucas e la strinsi alla mia, stringendola forte. Avevo bisogno del suo grandioso sostegno per evitare di scoppiare in un pianto liberatorio. Vederlo così distante mi faceva male. Vedere che lui non mi vedeva affatto mi uccideva.

Cognac sorrise, portandosi le mani dietro la nuca e guardando il vuoto con aria nostalgica. «Tra pochi mesi tutto sarà finito e ognuno di noi prenderà strade differenti. E a quel punto che ne sarà di queste serate dove l'unico scopo è rimanere insieme, anche stando in silenzio?» disse, facendo un sospiro. «Chissà dove saremo una volta usciti da qui.»

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