12. Rischiare

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Quella mattina mi ero svegliata in un caos: ero abituata ai trambusti, essendo parte di una famiglia numerosa, i vestiti ammassati e la gente che correva di qua e di là per me non era una novità. Ma vedere Cognac, Lucas e un tizio che non conoscevo nemmeno gironzolare per la stanza, era sicuramente molto strano.

Non feci domande. Non ero molto sociale al mattino, inoltre, gli eventi di ieri sera mi avevano talmente scossa che avrei preferito il mutismo. Gli ospiti, comunque, non si erano minimamente curati della mia presenza che cercava di arrivare verso il bagno. Non avevo intenzione di utilizzare quello pubblico per fare la doccia, ero piuttosto schizzinosa e volevo evitare i funghi alle dita.

Ignorai lo sguardo di Cognac e mi infilai, con successo e fatica, dentro la toilette. Una rinfrescata era quello che ci voleva per affrontare la giornata che mi aspettava, dovevo ancora capire la fonte di quella voce maligna e magari tagliargli la lingua. Mi diedi una sistemata veloce e sgattaiolai verso il bar, in cerca di una colazione decente.

Era sabato, quindi di conseguenza eravamo liberi da ogni lezione e dovere. Una giornata perfetta per procurarsi cibo, cacciare via gli ospiti non richiesti e poltrire tutto il giorno davanti ai miei amati documentari macabri. Adocchiai mio fratello con il suo gruppo di amici strampalato e decisi di avvicinarmi per una lieta conversazione, Josh mi avrebbe tirato su i nervi come pochi, quindi sarebbe stato un ottimo caricatore mattutino.

«Buongiorno, Ariana Grande dei poveri.» mi disse, non appena mi avvicinai al tavolo. Sorrisi falsamente e rivolsi uno sguardo serio a quei tre tonti, per poi schiarirmi la voce.

«Hai sentito mamma? Sai a che ora chiama? Devo accendere Skype. Cerca di farti trovare alla sala comune in orario.» gli ordinai, sedendomi di fronte a lui.

Josh ruotò gli occhi, per poi fare una smorfia. «Sono in punizione. Ieri sono andati al concerto dei Nirvana per cercare di capire il motivo per cui mi sento legato a quel tipo di musica. C'ero anche io. Fine.» sospirò.

Trattenni una risata, ma continuando a guardare quella faccia disperata non riuscii più a tenerla a lungo. «Mi spieghi come cavolo hanno fatto a beccarti in mezzo a tutta quella gente?» domandai.

«Si sono sentiti i primi minuti del concerto, io ero arrivato in ritardo perché quel coglione di Dylan si era sentito male. Conseguenza del troppo cibo spazzatura che ingurgita durante il giorno. Comunque, io stavo entrando mentre loro stavano andando via. La mamma ha detto che quando chiama ti dà una strigliata anche a te perché ti ha vista gironzolare a Los Angeles in pigiama. Mi spieghi che problemi hai?» aggrottò la fronte, confuso.

Spalancai gli occhi, urtando per errore il cameriere che stava servendo il caffè a mio fratello. Fortuna che non si era rovesciato e nessuno si era fatto male. «Grazie per avermi avvertito, troverò una scusa prima che chiami. Riley potrebbe aiutarmi.» mormorai, alzandomi di colpo. Senza salutare nemmeno, mi misi alla ricerca del mio migliore amico prima di affrontare la morte certa a causa di mia madre.

Era una persona molto docile, lei, ma quando qualcosa la urtava parecchio era meglio starle alla larga. Camminai verso il dormitorio maschile, notando lo sguardo di Colton che mi scrutava curioso. Molto probabilmente nessuno di loro sapeva che con Riley avessimo risolto e, di certo, si stesse chiedendo dove cavolo ero diretta.

Bloccai il passo, sospirando. Avevo risolto con Riley? Potevo sul serio parlare con lui come se nulla fosse?

Cristo, quel bacio della notte prima non avrebbe di certo reso semplici le cose. Con quale coraggio l'avrei guardato in faccia? Feci un profondo respiro e marciai dritta verso la sua camera, spalancando la porta di scatto. Rimuginare non sarebbe stata la cosa migliore.

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