29. Non guardarmi

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Non capivo cosa ci trovasse la gente di così entusiasmante nei compleanni. Era un evento stupido, in un giorno qualunque, di un anno qualunque, dove il malcapitato era subissato di complimenti e auguri da gente che non avrebbe rivisto per i prossimi trecentosessantacinque giorni. Era quello il mio pensiero generale su quel giorno di festa che arrivava a cadenza annuale. Io di primavere ne avevo passate ventitré e potevo assicurarvi che il mio punto di vista non era affatto cambiato.

Andiamo, cosa c'era di cosa bello nel festeggiare un anno in più della tua vecchiaia?

A dirla tutta, i compleanni mi mettevano ansia. L'idea che un altro anno era volato, che continuavo a crescere e che non avevo concluso niente di buono nella vita, mi atterriva completamente. Ogni anno era sempre una ruga in più, che si aggiungeva ai pensieri e alle preoccupazioni dei trent'anni che si avvicinavano. Sì, mancavano ancora sette anni, ma avete idea di quanto il tempo scorreva dannatamente veloce?

Sembrava solo ieri quando io e Riley stavamo spegnendo la sesta candelina, il primo compleanno che avevo cominciato a immagazzinare nei meandri dei miei ricordi. Era come se il mio cervello possedesse una cartella apposita denominata "rotture di palle annuali", dove insieme al Natale, al capodanno, al San Valentino e al Ringraziamento, si univano anche i ricordi riguardanti il compleanno.

Ecco, il San Valentino era un'altra delle ricorrenze a cui non trovavo un nesso. Cosa diavolo c'era da festeggiare, l'amore? Quale amore, esattamente? E poi, se proprio dobbiamo dirla tutta, Valentino altro non era che un Vescovo martire che venne condannato a morte. Non trovate che ci sia qualcosa di macabro in tutto questo? Inoltre, dedicare un'intera festa all'amore è solo un pretesto per incoraggiare gli stronzi a mostrare le loro doti ingannevoli. Ergo, non era un caso vedere un sacco di innamorati il quattordici febbraio e altrettanti cornuti il giorno seguente.

Era il cinismo, il mio? Probabilmente sì. Riley mi diceva spesso che avevo un modo di pensare molto strano, diverso da tutte le ragazze della mia età che sognavano il principe azzurro perfetto. Per me era una soddisfazione sentirlo, tranne quando aggiungeva che ero una cinica bastarda e che il mio cuore potevano venderlo al mercato nero, perché tanto non mi sarebbe servito.

Sì, erano parole d'amore le sue.

Sospirai, guardando senza alcuna emozione in volto le tre ragazze presenti nella mia stanza. Mia sorella era elettrizzata per l'imminente festa, stava setacciando il mio armadio con occhio vigile e attento per cercare di trovare qualcosa di adatto. Rosie, invece, aveva già il suo completo super-gotico da indossare per la sera, anche se sembrava piuttosto indecisa sulle scarpe da abbinarci, mentre Megan era già alla fase trucco.

Io, che ero la festeggiata, ero ancora in intimo scaraventata sul letto come un sacco di patate vuoto. Dovevo essere la prima a pensare al trucco perfetto, al vestito ottimo e all'acconciatura da sfoggiare. Il punto era che non me ne fregava un accidente. Avevo già la mia merda a cui pensare, tipo il fatto che avessi dimenticato la dannata pillola e il ciclo non mi arrivava. Bel compleanno di merda.

Alzai lo sguardo dal pavimento solo quando Cognac fece il suo ingresso, indaffarato come non mai dall'organizzazione non stop del nostro compleanno. Aveva categoricamente proibito di far ficcare il naso agli altri, lui doveva essere il solo e unico organizzatore e gli altri al massimo potevano aiutarlo in dei piccoli compiti. Ma ogni piccolo dettaglio era stato pensato esclusivamente da lui. Mi guardò serio, incrociando le braccia e assumendo l'espressione di chi volesse prendermi a martellate in testa. Si passò l'indice sotto il mento, sospirò e ruotò gli occhi. «Perché sei ancora così?» mi chiese, scrutandomi interrogativo.

Lo guardai, apatica. «Boh.» risposi, togliendo le pellicine delle labbra secche con le mani.

Cognac portò le mani sui fianchi, annuendo stranito. «Bene, cosa metterai almeno lo sai?»

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