43. Egoista

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«Ma io non vedo nulla!»

Zac, con espressione altamente confusa e atterrita, si rigirava il foglietto tra le mani e faceva svariate smorfie sorprese. Lo stavo osservando divertita, seduta sulla poltroncina in pelle marrone mentre ispezionava ciò che aveva tra le mani con aria interdetta. Riley, ridacchiante, si avvicinò a lui e gli indicò qualcosa, per poi scuotere il capo con fare rassegnato.

Il mio amico, ancora scosso, portò l'immagine attaccata al viso e arricciò il naso sconvolto. «Ma... è un fagiolo! È un fottuto fagiolo! Quando cresce? Quando cominciano a vedersi occhi, naso, bocca, mani...?» domandò, passandomi l'ecografia con aria indignata e scocciata.

Riley alzò un sopracciglio, ruotando poi gli occhi con aria ancora ridacchiante. «È di appena due mesi, Zac, cosa pretendi che sia? È normale che non si vede ancora.» disse, sedendosi sul divano accanto alla poltroncina e togliendomi l'ecografia dalle gambe per guardarla ammirato.

La visita dal dottore era andata meravigliosamente, il pupo cresceva e tutto sembrava andare per il verso giusto. Mi aveva solo prescritto il ferro per l'anemia portata dalla gravidanza, ma niente che non andasse. Il bello era arrivato al ritorno, quando i ragazzi ci avevano assediati per vedere l'ecografia e fare commenti talmente sdolcinati da risultare irriconoscibili anche ai miei occhi. Cognac si alzò, sedendosi poi nel piccolo spazietto che c'era nella poltrona. Mi appoggiò la mano sulla pancia e sorrise, guardandomi poi con aria curiosa. «Ma non senti ancora nulla?» domandò curioso, accarezzandomi il ventre.

Scossi la testa, stiracchiandomi assonnata. «No, non è ancora abbastanza formato per muoversi dentro la pancia. Qualche mese e potremmo sentire i suoi calci, credo. Tremo solo a pensarci.» dissi, fingendo di avere i brividi alle braccia.

Lucas fece una smorfia, mangiando una caramella. Alzò le spalle e mi freddò con la sua delicatezza, facendomi terrorizzare. «Ah beh, se temi i calci, non oso pensare il parto. Farà talmente male che crederai di star morendo, mia madre mi dice spesso che...»

«Lucas! La stai spaventando!» Riley lo guardò male, lanciandogli un cuscinetto sullo stomaco. «Per favore, fermati o veramente al momento del parto questa fugge.» lo rimproverò, con sguardo serio.

Rosie, commossa, si portò una mano alla bocca e i suoi occhi si inumidirono per l'ennesima volta. Aggrottai la fronte, chiedendomi perché diavolo piangesse così tanto. Ero io anormale, probabilmente, ma non piangevo quasi per nulla. Forse ero un ghiacciolo. «Non posso credere che diventerete genitori! Sono così emozionata al pensiero che sul serio... non vedo l'ora che nasca!»

Io no, avrei voluto rispondere, ma dirlo mi avrebbe fatto sembrare una madre snaturata. Il fatto era che temessi il parto più di qualsiasi cosa al mondo, chiunque lo aveva provato mi diceva che non era affatto piacevole. E se non fossi riuscita a sopportare il dolore? Già ero terrorizzata dal dolore che avrebbe provocato con i suoi movimenti dentro la pancia, figuriamoci a farlo uscire da lì. «Lo sapete che, durante il parto, la vagina si dilata di ben dieci centimetri?» disse Zac, interessato all'argomento tanto quanto lo era della ginecologia. Infatti, si era pentito di aver scelto archeologia e non medicina, ai tempi dell'iscrizione alla Stanford.

Alzai lo sguardo di scatto, deglutendo aspramente. «Dieci centimetri?» urlai, sconvolta. «E poi si richiude?» domanda stupida di cui sapevo la risposta, ma che a causa del panico dissi senza nemmeno pensarci.

Riley si grattò il capo, storcendo le labbra con aria confusa. «Certo, non puoi rimanere con la cosa dilatata per tutta la vita, Jas... e Dio, smettetela di parlarle di ciò che questa non ci dormirà per nove mesi!» disse schifato, stendendo le gambe sul tavolino in legno di mogano. «Jas, ascoltami, farà malissimo, o almeno così dicono. Ma sarà un dolore ricompensato, perché porterai alla luce nostro figlio!» mi sorrise, ma la mia espressione non si distese affatto rilassata, anzi, mi innervosii ancora di più.

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