Quattro mesi dopo
Se c'era una cosa che non riuscivo a sopportare della California, era il caldo asfissiante che non mi permetteva di stare tranquilla. Era umido, appiccicoso, talmente ingestibile che nemmeno fare venti docce con acqua gelata era utile per stare meglio.
Ero comodamente sdraiata sul divano a casa da mia madre. Da quando ero ufficialmente entrata nei novi mesi, io e Riley avevamo deciso di comune accordo che sarebbe stato opportuno rientrare a casa per poter fare gli ultimi periodi della gravidanza con calma. Non che questo mi permettesse di stare tranquilla, anzi. Era passata una settimana esatta da quando i tanto attesi novi mesi erano arrivati, eppure, sembrava che il bambino non avesse poi tutta questa voglia di nascere.
Un po' lo capivo, in effetti. Sicuramente dentro il mio utero ci stava bene.
Avevo preso la bellezza di quindici chili, quindi ero una balena o, come diceva Riley, un piccolo dirigibile. Si divertiva a prendermi in giro, soprattutto quando non riuscivo ad infilare le scarpe e cercavo il suo aiuto. Diceva che era piuttosto divertente vedermi sclerare perché non riuscivo ad abbassarmi, e che la cosa gli risultava talmente comica da volerci fare un video per immortalare il momento.
Era il primo di giugno e io non vedevo l'ora che quel bambino venisse fuori. Non riuscivo più a fare nulla.
Osservai l'orologio affisso alla parete, appurando che fossero ancora le venti. Mi chiesi a che punto fosse la cena, ma prima che potessi alzarmi per controllare la situazione, il telefono squillò interrottamente sopra il tavolino del salotto. Voltai il capo in quella direzione e, sperando che fosse possibile, allungai la mano per tentare di acchiapparlo.
Dio, che fatica.
Sbuffando, mi misi seduta sul divano e mi sporsi di poco, acchiappando il cellulare e notando che Cognac mi stava facendo una videochiamata. Sorrisi contenta e risposi, poggiando il telefono sulla pancia. «Ehi, egiziano! Come ti stai trovando lì?» domandai, osservando il suo sorriso lieto e tranquillo. Ero felice che si stesse trovando bene, mi parlava sempre di come i paesaggi lì fossero mozzafiato.
«Sono appena le dieci del mattino, volevo assicurarmi che il nano infame fosse ancora dentro l'orbita.» chiese, ridendo divertito alla mia espressione stremata.
Gli raccontavo spesso di essere stanca, che speravo con tutto il cuore che il piccolo venisse fuori al più presto. Mi era difficile dormire bene, stare lontano dal bagno per più di due minuti per via della vescica sensibile e, inoltre, sentivo il peso del bambino gravare tutto sulle gambe. «Non me ne parlare. È sceso parecchio, è già in posizione per il parto ma pare che non abbia poi tutta questa voglia di farsi conoscere.» sbuffai, agitando la mano verso il viso per farmi aria.
Mangiucchiò un pezzo di pancetta, alzando di poco le spalle per mostrare la sua velata indifferenza alle mie sofferenze. «Oh beh, per lo meno ti sono cresciute le tette. Come sta Riley?» domandò.
Ridacchiai al pensiero del mio ragazzo, sistemandomi meglio per riuscire a trovare una tanto sperata comodità. «Come vuoi che stia? Non fa che lamentarsi del fatto che si fa attendere. Passa la sua giornata a controllare il borsone per l'ospedale e dice che dovremmo cominciare a scegliere un nome, perché adesso che la cosa è più evidente si sente in colpa a non sapere come chiamarlo.»
Cognac rise, voltandosi alle sue spalle e dicendo qualcosa in una lingua che avrebbe dovuto essere arabo, ma era più inglese che altro. «Devo andare, cominciano gli scavi. Se ci sono delle novità fammi sapere, probabilmente mi daranno una settimana di ferie per poter vedere il bambino. Ho un capo molto gentile.» mi mandò un bacio e, prima che io potessi salutarlo, chiuse la chiamata.

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Heartbeats
RomanceLa vita di Jasmine Olsen è perfetta. Una famiglia numerosa, un college di prestigio e un migliore amico a cui raccontare tutte le sue disavventure. Riley Jones è la sua spalla. Conosce tutto di lei, la comprende, la stima e la sostiene nei momenti d...