5. Si parte!

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Odiavo il giorno della partenza.

Ogni santo anno era un casino immenso barcamenarsi tra le ultime cose da infilare in valigia, i parenti da salutare e l'ansia perenne di dimenticare qualcosa. Senza contare che l'ultimo pranzo in famiglia prima della partenza era un casino immenso. Casa mia era gremita di persone che andavano e venivano. C'erano perfino i compagni di band di mio fratello: Ashton, David e Dylan.

Mi osservavano in silenzio, da lontano, con i loro vestiti super neri e quei capelli lunghi tanto quelli di Cristo. Io, seduta in fondo alla sala, mangiucchiavo le unghie e mi tenevo stretta a Riley, come se lui potesse proteggermi da quei guardoni.

«Ma perché ti fissano?» mi chiese, dopo una mezz'ora buona che anche lui fissava, giusto per metterli a disagio e depistarli dal loro obbiettivo.

Sbuffai affranta, giocherellando con la sua mano che tenevo ben salda alla mia. «Non lo so! Tra l'altro, ho pure sete. Non è che vai a prendermi dell'acqua?» lo pregai con lo sguardo, giusto perché alzarmi e camminare davanti a quei morti di figa mi metteva terribilmente a disagio.

Riley, contrariato, si alzò dal suo posto e percorse la strada verso il tavolo. Teneva ancora lo sguardo su quei soggetti, che solo quando lui si era mosso, si erano resi conto che li stesse guardando. Alzò un sopracciglio, riempì il bicchiere d'acqua e lanciò un'occhiata di fuoco a uno dei tre, intento a dissetarsi anche lui.

«Guardare troppo ti ha messo sete?» chiese ironico poco dopo, guardandolo dritto negli occhi.

Mi alzai di scatto, perché conoscevo Riley e volevo evitare che gli rompesse il naso. Mi piantai al suo fianco e cercai di attirarlo verso di me, ma la risposta del biondo dai capelli fluenti lo fece voltare furioso. «È un tuo problema se guardo una ragazza che non è nemmeno tua?»

Si passò la lingua tra le labbra e accartocciò il bicchiere tra le mani, ridendo poi con una marcata ironia. «È la mia migliore amica e non avete fatto altro che metterla a disagio. Mi frega poco se siete gli amici di Josh, sono del parere che quando si va in casa di qualcuno l'educazione è essenziale. Non è la prima volta che la mettete in imbarazzo, ogni volta che voi siete qui lei si chiude in camera. Quindi sì, se dà fastidio a lei, lo dà anche a me.» rispose calmo, appoggiando le mani sul tavolo.

Sorrisi imbarazzata e lo presi per mano, guardando Dylan e distogliendo subito l'attenzione da lui. «Riley, andiamo su. Aiutami con la valigia.» mormorai, allontanandolo dalla situazione carica di tensione che si era creata.

Per fortuna, quando Riley mise piede in camera mia, distese i muscoli del corpo e si sdraiò sul letto, sbadigliando. Ci eravamo svegliati tutti molto presto a causa della partenza, dovevo ultimare delle cose e mettermi qualcosa di comodo per il viaggio in macchina.

Mi spogliai dei vestiti mentre lui, disinteressato, giocava al cellulare e ascoltava la musica in sottofondo. Non era raro che io mi spogliassi davanti a Riley, ci volevamo talmente bene che non c'era malizia in quello che facevamo.

Percorse il mio corpo con lo sguardo, inclinò la testa verso destra e storse le labbra con espressione concentrata. Gli rivolsi uno sguardo confuso, prima di gettarmi a capofitto dentro l'armadio e tirare fuori una tuta.

«Sei più magra, Jas. Hai mangiato in questi giorni?» mi chiese, osservandomi mentre mi vestivo.

Annuii distratta, girando la canottiera dal verso giusto. «Sì che ho mangiato, anzi... forse l'ho fatto più del dovuto.» spiegai, vestendomi e legando i capelli in una coda.

Riportò l'attenzione al cellulare, battendo le mani a ritmo di musica sulla pancia. «Dovresti fare dei casting per le case di moda, altro che criminologa. Sicuramente è un lavoro meno rischioso.» ridacchiò, bloccando il cellulare e mettendosi a pancia sotto, con il volto nella mia direzione.

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