17. Il vero nome di Cognac

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«Signorina...»

La voce della dottoressa mi stava infastidendo. Avevo freddo. La testa mi scoppiava e non riuscivo nemmeno a capire dove mi trovassi. Avevo i brividi dappertutto. Avevo categoricamente rifiutato di avvertire la polizia, quindi la dottoressa aveva deciso di scoprire quello che mi era successo, per poi riferire tutto a chi di dovere.

«Signorina, siamo qui da un'ora. L'emorragia si è fermata, non ha riportato gravi traumi al suo corpo. Le faccio domande senza sosta ma lei sembra non essere qui con noi. Se solo collaborasse, potremmo capire chi è il responsabile della sua violenza.» continuò la donna, imperterrita.

Non avevo pronunciato una sola parola da quando Cognac mi aveva trovata. Mi aveva subito portato in infermeria, era rimasto con me fino all'ultimo e aveva sperato che io mi decidessi di denunciare la cosa. Ma non volevo. Volevo solo tornare a casa.

«Allora,» la donna sospirò, togliendo gli occhiali da vista e poggiandoli sul tavolo dove poco prima mi avevano visitata. «Non ricordi nulla?» mi chiese, paziente.

Chiusi gli occhi, portando le ginocchia al petto. Riuscivo ancora a sentire il suo fiato sul collo, i suoi gemiti mentre lo imploravo di lasciarmi andare, le sue dita che affondavano nella mia carne con prepotenza....

Scossi la testa, guardando gli occhi della donna con espressione persa. Avevo mentito, stavo stupidamente proteggendo il mio aggressore perché avevo paura che potesse tornare. Non volevo che mi facesse ancora del male.

Cognac, al mio fianco, mi accarezzò la mano, ma io la ritrassi. Non volevo alcun contatto fisico, non volevo nessuno intorno. Ero sporca, marchiata da quelle mani maligne che mi avevano uccisa.

Sobbalzai quando la porta si aprì di scatto e il mio istinto fu quello di chiudere gli occhi, forse dettata dalla paura di un suo ritorno o forse ero ancora troppo scossa per riuscire a stare sul serio tranquilla.

O forse, tranquilla non lo sarei stata mai più.

Sentii una mano accarezzarmi il viso ma mi scostai spaventata, portando il mio sguardo sull'autore di tale gesto che non avrebbe dovuto farmi male, ma invece mi bruciava da morire. Gli occhi lucidi di Riley fissavano i miei, mentre teneva ancora la mano a mezz'aria a causa di quel contatto interrotto.

«Che ti hanno fatto...» sussurrò, mentre le lacrime solcavano il suo viso. Cominciai a piangere anche io, allontanando sempre di più il mio corpo a qualsiasi tipo di contatto. «Daniel, che le hanno fatto?» guardò Cognac in attesa di risposte, ma il ragazzo scosse il capo. Nessuno sapeva. Nessuno era lì con me. Notai, però, che l'espressione di Cognac era diventata di pietra quando aveva sentito pronunciare il suo nome, come se rinnegasse la sua identità. «Parlami, ti prego...» sembrò implorarmi con lo sguardo, mentre il mio sguardo rimaneva impassibile sul suo volto.

Non provavo niente.

Non volevo niente.

Volevo solo scomparire fino a far perdere le mie tracce.

La dottoressa si congedò, magari sperando che con Riley avrei potuto parlare più facilmente. Tutti in quel college ci conoscevano, sapevano quanto fossi attaccata a lui, come mi venisse facile parlare con lui.

Ma in quel momento tutto mi era estraneo, perfino me stessa.

«Volevo solo proteggerla...» mormorai, dopo minuti interminabili di silenzio, «Mi dispiace, non avrei dovuto accettare quel passaggio da Colton.» provai un senso di nausea nel pronunciare quel nome, nel ricordare quel corpo gettato con tutto il suo peso contro il mio, esile e fragile. Quale colpa avevo? Meritavo il suo trattamento? Era la mia punizione per essere stata incosciente? Volevo solo proteggere Megan ma mi ero dimenticata di proteggere me stessa.

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