22. Fiore sull'asfalto

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Sguardi, occhi che non smettevano di seguire ogni mio movimento, orecchie che non si lasciavano sfuggire neanche un dettaglio...

Ero, di nuovo, presa di mira dai pettegolezzi e dell'infamia degli studenti della Stanford. Erano abituati alla loro vita da ricchi viziati, cresciuti nella loro bolla di cristallo che non ammetteva errori. Si mostravano superiori, altolocati, intelligenti, fortunati. Conoscevo tutti i loro segreti, sapevo i loro sbagli e li guardavo con la velata indifferenza di chi se ne sbattesse altamente delle loro vite. Però, ancora una volta, dimostravano di avere delle esistenze prive di qualsiasi pienezza, perché perdevano tempo a dare importanza alla mia.

Da quando Riley aveva lanciato quella bomba al bar, tutti cercavano di capire se Michelle avesse intuito giusto dando la colpa a me. Stavano lì, attenti, alla ricerca di un segnale minimo da parte nostra che potesse confermare o smentire. Ma noi eravamo furbi e non davamo alcuna soddisfazione a quelle lingue lunghe.

Ci comportavamo come avevamo sempre fatto, non un gesto di più, non uno di meno. Motivo per cui continuavano a rosicare per non essere riusciti a saperne di più.

Quel martedì, al suono dell'ultima campana, mi sentii completamente sollevata dal dover raccogliere le mie cose e rintanarmi in camera dai ragazzi. Era stata una giornata pesante, i professori ci avevano sommersi di spiegazioni futili ai fini dell'esame e i test erano fioccati come la neve in pieno gennaio. Trovavo assurdo che una sola giornata di lezione potesse stancarmi così tanto al punto da non avere le forze necessarie per lo studio.

Sebbene speravo di potermi rilassare in silenzio e in pace, i coinquilini di Riley, insieme a Zac, non erano dello stesso avviso. Erano tutti riuniti in quella camera che di colpo sembrava essersi rimpicciolita, tutti eccitati nell'organizzazione del nostro imminente compleanno.

Io non volevo festeggiare, a dire il vero. Non avevo alcun interesse nell'imbastire una festa spendendo fior di quattrini solo per dare da bere a quelle quattro capre del nostro istituto. Inoltre, dopo l'ultimo party a cui avevo partecipato, anche la vita mondana sembrava essere un lontano ricordo. Ma, purtroppo, oltre a essere il mio compleanno era anche quello di Riley. Ora che per loro era single e aperto a nuove relazioni meno soffocanti, era doveroso festeggiare e invitare tutte le ragazze appetibili del college.

Non che lui ne fosse entusiasta, comunque. Dava loro del filo da torcere solo perché sapeva che, anche se non avesse voluto, avrebbero organizzato tutto da soli senza il minimo riguardo. Dopotutto, secondo loro, il compleanno si faceva solo una volta l'anno ed era essenziale fare qualcosa.

Il mio amico sembrava annoiato. Giocherellava con la penna e ruotava gli occhi a ogni progetto di Zac, intento a voler dare una festa ancora più grande e folle di quella di Brenda. «Sentite, se facessimo qualcosa di intimo? Voi, Rosie, naturalmente Jas, mia sorella e Josh. Insomma, non trovo il senso di dover affittare un appartamento delle confraternite per imbastire un festone del genere.»

Zac lo guardò indignato, alzando l'indice come se volesse rimproverarlo di qualcosa. Scostò il ciuffo scuro dal viso e scosse la testa, deciso al cento per cento di voler andare a fondo con la sua idea. «È doppio compleanno, quindi è bene fare le cose un po' più in grande. Cioè, dopo quello che è successo a Jasmine penso che ci meritiamo una festa senza Colton, Michelle e tutta la banda degli psicopatici al completo.» rispose, tagliando qualche nominativo dalla sua lista speciale degli invitati.

Cognac mangiucchiò della carne secca, assumendo la tipica espressione di chi vorrebbe avere un'idea geniale ma in cambio ha solo del vuoto cosmico. «Boh, la metà di quella gente non la conosciamo nemmeno. E togli Augustus, sono tre feste di fila che vedo la sua mercanzia ben esposta al pubblico.» fece una smorfia, intimandolo a cancellare il vecchio ubriacone dalla lista.

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