3. Un'improvvisata notte al mare

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C'era una cosa che detestavo della California: il caldo. Anche quando il sole calava e i suoi raggi davano spazio alla luce della luna, l'umidità del luogo era qualcosa di insopportabile, al punto che anche respirare costava una fatica.

Stavamo percorrendo la costa in macchina, alla ricerca di una spiaggia completamente libera dalle feste. Non c'era una sera in cui gli adolescenti non organizzavano party, a detta loro, da urlo. Mia sorella di solito era sempre in prima linea, essendo la cheerleader del suo adorato liceo. Motivo per cui, quando era in punizione come quel giorno, andava in crisi perché credeva che si fossero dimenticati del suo fascino.

A me, quelle feste, davano un fastidio immenso. Diventavano padroni di tutta la costa e trovare un posto tranquillo per noi, ragazzi universitari, era praticamente impossibile. Ergo, eravamo finiti dall'altra parte di Los Angeles, nei pressi di Hollywood, grati di aver beccato una spiaggia sgombra da quei ragazzini urlanti e festanti.

La cosa imbarazzante era la presenza di coppiette che, innamorate, ammiravano il mare o osservavano il cielo alla ricerca di una stella cadente. Poveri illusi, sul serio credevano che i desideri si sarebbero avverati? Magari qualcuno di loro sperava in un matrimonio, in un futuro prosperoso e pieno di felicità.

Molte mia coetanee pensavano già ai figli, cosa che a me importava poco perché troppo interessata a fare carriera in criminologia e occupare il tempo libero in viaggi da urlo.

Riley, a differenza mia, era invece un romanticone nato. Lui credeva all'anima gemella, quella affine a una persona al punto da diventare il suo destino. Era, per quanto non lo dimostrasse a parole, davvero innamorato di Michelle, infatti la confessione di una proposta di matrimonio dopo la laurea non mi aveva di certo spiazzata.

Io continuavo a vederla una ragazza troppo sbagliata per lui, troppo superficiale, poco incline a voler dare e molto propensa a voler ricevere, invece. Non so se fosse sul serio innamorata di Riley, ma speravo fosse così perché vederlo soffrire mi avrebbe distrutta.

Eravamo sempre molto diversi, io e lui. Da bambini, tipo all'età di undici anni, lui mi diceva che un giorno avrebbe voluto sposarmi. Io l'avevo sempre guardato con sufficienza, avevo girato il capo dall'altro lato e avevo sempre risposto: io non voglio sposarmi, voglio diventare una donna forte e indipendente.

Poi, arrivò l'adolescenza e da lì cambiarono molte cose. Ricordo ancora la mia prima delusione d'amore, era arrivata ai sedici anni a causa di uno stronzo giocatore di football. Voleva solo portarmi a letto e io, ragazzina e inesperta e convinta di essere innamorata, gli permisi di arrivare al suo scopo. La conseguenza? Avevo passato un'intera settimana a piangere sul petto di Riley, che in silenzio mi consolava. Poi, una sera, mi disse: facciamo così, se crescendo non riuscirai a trovare qualcuno che ti ami davvero, ti sposerò io. E mi prenderò per sempre cura di te.

La vulnerabilità prese il sopravvento e me lo feci promettere. Fu la prima e unica volta che menzionammo quella promessa, non so nemmeno se Riley la ricorda ancora.

Un'altra volta, a sette anni, davanti al Big Ben e alla telecamera di Betty, la mamma di Riley, mi fece una proposta di matrimonio degna di essere chiamata tale. Certo, l'anello che mi infilò al dito era alla pizza, motivo per cui lo mangiai nel giro di due secondi. Era un tacito sì, nel caso non fosse chiaro.

Insomma, io e Riley eravamo davvero stati un po' tutte cose. Ma alla fine, eravamo rimasti i migliori amici di sempre. Quelli che, come ogni dieci agosto, si sedevano sulla sabbia fredda e puntavano lo sguardo verso il manto stellato. Non ero solita esprimere desideri, ma lui ci teneva molto quindi ne approfittavo per rilassarmi con il rumore del mare e della buona musica messa in sottofondo dal suo cellulare. E, ovviamente, la nostra dose di marijuana che non poteva mai mancare.

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