33. Verità

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Avevo da sempre amato i viaggi in auto, soprattutto se questi prevedevano delle lunghe distanze. Durante tutta la durata del percorso, i miei occhi rimanevano fissi oltre il finestrino ad ammirare la strada che scorreva veloce, mostrandomi dei paesaggi che mi rimanevano impressi nella mente. Viaggiare con le persone giuste era qualcosa di meraviglioso: risate, musica ad alto volume, soste improvvisate per comprare cibo non molto sano e sensazione di libertà che attorcigliava le viscere. Le sensazioni positive erano tutto quello a cui mi aggrappavo per riprendere un po' della mia sanità mentale. La vita era stata cattiva e io cercavo di dimostrarle che sulla sua cattiveria potevo ballarci sopra e cantarci a squarciagola.

Non mi ero ancora ripresa del tutto dalla mia esperienza con Colton. Mentirei a me stessa se affermassi il contrario, se dicessi di aver dimenticato quella paura desolante che mi attraversava in pieno petto. Anche i sonni erano diventati complessi, mi svegliavo spesso nel cuore della notte e urlavo con la faccia schiacciata sul cuscino, in modo da poter soffocare le grida. Da certe situazioni è difficile uscirne, dannatamente complicato. Potevo solo tappare in maniera provvisoria la sensazione di disagio o paura con dei momenti più o meno lieti. Trovare rifugio nella compagnia e nel baccano era la soluzione migliore per sentire meno il peso del dolore. Ma, quando il silenzio regnava sovrano e nessun corpo mi era accanto, la pressione della sofferenza mi schiacciava il petto. E i polmoni esplodevano.

A volte, però, ignorare ciò che ci feriva era l'unico modo per non cadere del tutto nel baratro del nulla totale.

Mi era capitato di caderci.

Era come se mi trovassi in un posto completamente al buio, senza alcun fascio di luce che avrebbe potuto rischiarare la mia vista. Esistevo solo io, l'oscurità totale e la mia voce graffiante che sperava di essere udita da qualcuno. Ma urlare non serviva a nulla, perché in quel dannato luogo nessuno avrebbe potuto accedervi. A volte, le nostre stesse menti sono ancora più pericolose di tutto quello che ci circonda.

Sospirai stanca, osservando il cottage davanti a noi. Eravamo partiti dalla California alle otto in punto del mattino, arrivando in Oregon alle ventuno. Era già sera, tra le soste fisiologiche e quelle praticamente inutili che ci aveva fatto fare Zac, eravamo arrivati con qualche ora di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Per l'andata avevano guidato Riley e Cognac, dividendosi in più turni in base alla stanchezza dell'altro. Al ritorno, invece, sarebbe toccata a Lucas e Zac ed ero sicura che si sarebbero scannati su chi avrebbe guidato di più. Sentivo tutti i muscoli intorpiditi e non vedevo l'ora di accedere alla piccola villetta per potermi sdraiare un po'. Cognac cercò in fretta e furia le chiavi, spalancando la porta di quello che per me al momento era il paradiso.

Il salotto era confortevole: un divano a penisola, una televisione appesa al muro e un piccolo caminetto con la legna già pronta. Per fortuna ne avevamo un bel po', altrimenti col cavolo che saremmo andati a prenderla in giro per i boschi. Anche se avevamo promesso a Rosie di farci un giretto, così da permetterle di trovare qualche pianta utile per i suoi intrugli. Non perdemmo nemmeno tempo inutile per la cena, considerando che avevamo già sgranocchiato abbastanza durante il viaggio. Volevamo solo dormire e rimandare il divertimento al giorno seguente, avevamo troppa stanchezza in circolo per perdere tempo a fare gli scemi.

Ci sistemammo ognuno nelle proprie stanze, dandoci la buonanotte e promettendo di alzarci presto per fare una passeggiata. Mi stesi sul letto a baldacchino, con la compagnia di Riley che non aveva nemmeno la forza di parlare. Appoggiai il capo sulla sua spalla, in silenzio, e mi lasciai cullare dalle sue mani che mi accarezzavano il capo con dolcezza.

«Stai bene?» mi chiese, osservando in alto con sguardo rilassato. Era una domanda che mi faceva sempre, prima che si lasciasse cullare dal sonno. Era come se, senza la certezza di sapere se stessi effettivamente bene, non riuscisse a dormire.

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