35. Catene

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Riley

Correvo.

Le mie gambe si muovevano a una certa velocità, il vento mi sbatteva in faccia con prepotenza e il fiato corto confermava l'intensa attività fisica del mio corpo.

Faceva fresco, quella notte, ma io correvo comunque. Non che avessi un valido per farlo, in effetti. Sentivo solo il bisogno fisico e mentale di correre, di sfidare il vento stesso che voleva dimostrarmi quanto fosse più forte di me. Annaspavo in cerca di aria, cercavo di dominare la stanchezza dei muscoli e continuavo ancora cocciuto verso quella terribile corsa pazza.

Mi piegai stanco, appoggiai le mani alle ginocchia e osservai il vasto giardino davanti a me. Non sapevo bene dove volessi arrivare, né perché volessi farlo. Cominciavo a sentire gli arti tremare, probabilmente volevano abbandonarmi nella mia follia e convincermi a lasciar perdere qualsiasi cosa stessi facendo. Mi voltai al mio fianco, osservando la povera anima che si era immolata per farmi compagnia in quella notte all'apparenza piatta. Cognac, con sguardo arcigno e la sua tenuta sportiva sgualcita, non sembrava poi essere tanto contento della mia trovata.

«Quando ti ho detto che volevo dimagrire un po', non intendevo mica correre così veloce per quasi tutto il campus. Devo ricordarti quanto diamine è immenso questo posto?» disse stanco. Mi accasciai sul terreno, prendendo la mia borraccia di acqua fresca e bevendone un gran quantità. Cognac, ancora in piedi, mi osservava scocciato e tentava in tutti i modi di non darmela vinta, evitando di sedersi al mio fianco.

«Mi dispiace,» risposi, sdraiandomi di peso sull'erba umida, «il fatto è che... mentre correvo era come se mi sentissi libero, capisci?» alzai lo sguardo per appurare che avesse compreso il mio punto di vista, ma il mio amico non sembrava affatto comprensivo.

Alzò le spalle, si mise al mio fianco e arricciò il naso. «No, non ti capisco affatto.» ammise, bevendo un sorso della sua acqua, «probabilmente perché, quando mi sento incatenato da qualcosa, preferisco direttamente liberarmene. Non è che correndo puoi stare meglio, eh...» disse, passandosi una mano sui capelli sudati.

Aveva ragione ma non del tutto.

In quel momento della corsa io non avevo pensato a niente, il mio unico assillo era riuscire a vedere fino a che punto il mio corpo potesse reggere prima di accasciarsi al suolo. Probabilmente avevo uno strano modo per sentirmi meglio, per liberarmi di ciò che mi incatenava. «Non so nemmeno io come mi sento, Daniel.» mormorai, guardando un punto casuale davanti a me. Gli alberi sfogli dell'autunno donavano malinconia in quel paesaggio per la maggior parte del tempo verdeggiante e, a volte, mi capitava di sentirmi proprio come un albero privo dei suoi frutti. Nudo, vulnerabile, al freddo.

Cognac mi guardò, storcendo le labbra per cercare di trovare la soluzione al mio fatidico problema. «Primo: chiamami un'altra volta Daniel e quella borraccia te la ficco in gola.» disse serio, facendo una smorfia. Lo odiava. Ero l'unico del gruppo a chiamarlo così, ma solo quando eravamo da soli e nessuno avrebbe potuto sentirci. Gli unici a conoscenza del suo nome tra la comitiva eravamo solo io e Jasmine. «Secondariamente, credo che tu debba fare chiarezza, prima di tutto, in te stesso. Se non conosci le ragioni per cui ti senti le catene strette ai polsi, non puoi assolutamente scoprire il lucchetto per staccarle via. È matematico, no?»

Alzai un sopracciglio, cercando di non ridere al suo ragionamento. Mi stava prendendo per i fondelli, era chiarissimo. «Ah, ma tu guarda... scemo io che pensavo di risolverla praticamente subito!» esclamai ironico, facendolo ridere di gusto.

«Mi dispiace, è che... sei strano di recente, Ril. Lo sai questo?»

Ci fu un minuto di silenzio, dove Cognac probabilmente si era messo a pensare se aveva detto la cosa giusta mentre io riflettevo su quanto aveva affermato. Ero strano? No, non lo ero. O forse sì? Sfilai una sigaretta dal pacchetto e lo guardai sottecchi, prendendo una foglia secca tra le mani e rigirandola pensieroso. «Cioè?» ma che risposta di merda avevo dato? Dov'era finita la parte di me filosofica e profonda?

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