30. Protagonisti

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Non mi piaceva svegliarmi.

La trovavo un'azione inutile, un atto di coraggio per i veri veterani che si sentivano ancora in grado di affrontare un altro, complicato, giorno. Io quella forza sentivo di non possederla più, troppo provata dalle vicende della mia stupida vita per permettermi il lusso di trovare l'audacia di iniziare un nuovo giorno.

Perché dovevo farlo? Perché dovevo lasciare i sogni che erano l'unica realtà dove potevo comandare tutto a mio piacimento? Se non mi piaceva ciò che vedevo, aprivo gli occhi e poi mi rimettevo a dormire. Perché diamine non era possibile farlo anche nella vita di tutti i giorni?

Un'altra cosa che non gradivo, era svegliarmi in un posto del tutto nuovo, senza sapere come ci fossi finita. E fu quello che mi successe quella mattina dopo il mio compleanno, mentre io stavo ancora ancorata al letto. I miei occhi guizzavano da tutte le parti, nonostante il forte dolore alle tempie che rendeva pesante quel movimento. Il mobiletto bianco, lavorato con dei filamenti color oro, mi ricordava tanto l'epoca vittoriana. Era stipato di fotografie, di luoghi belli che io non avevo mai visto, di persone che sorridenti davano uno schiaffo alla vita che voleva annientarli. Riuscivo a percepire il sole di Rio de Janeiro, ero in grado di camminare tra quei ciottoli illuminati dai palazzi colorati, sentendomi capace di sfuggire al peso dei dolori che la California mi aveva causato.

E cominciavo a sentire la necessità di fuggire da quella città che mi aveva cullata tra le sue braccia fin dal mio primo battito.

I miei occhi vagarono ancora in quella camera a me sconosciuta, si posarono su dei poster di cantanti ormai passati a miglior vita, di esseri umani capaci ad essere diventati delle leggende per il loro talento. Amy Winehouse, Elvis Presley, David Bowie, Freddie Mercury, Micheal Jackson, Whitney Houston... c'era perfino Marlyn Monroe, la donna che era stata etichettata come più bella del mondo e che in quella bellezza ci era affogata, perché nessuno non sa mai quanto il peso di un successo può veramente ammazzare.

Il mondo non conosce mai l'altra faccia della luna.

Ed era questo che mi faceva incazzare degli essere umani: la loro convinzione di sapere quanto peso porti addosso. Millantano conoscenza, pretendono di capire ciò che stai passando e ti sbattono in faccia il loro finto vittimismo dicendo che hanno vissuto di peggio. Perché, piangere per un brutto voto a scuola e sentirsi dei falliti invece che farlo per un amore finito, per loro non ha affatto lo stesso peso. Perché piangere ormai è da deboli, farlo è una dimostrazione di quanto siamo dannatamente fragili, come vetri scheggiati sul punto di spezzarsi. E la fragilità spaventa, annichilisce, ci rende meno forti.

La fragilità è un lusso che solo i puri di cuore si possono permettere.

Io ero fragile, proprio come lo specchio a casa di zia Erika. Aveva una crepa che partiva dall'alto verso il basso, talmente grossa che da piccola mi spaventava. Lei mi diceva sempre di non toccarlo, mi diceva che era pericoloso, che non dovevo prendere alla leggera la situazione perché avrei potuto farmi male. Una sera mi presi di coraggio e gli diedi una ginocchiata. Lo specchio si ruppe. Ero preoccupata, sapevo quanto ci tenesse la zia, era l'unica cosa che le era rimasta della defunta madre, lo teneva caro e lo custodiva nonostante fosse ammaccato. E provai in tutti i modi a ripararlo, tagliandomi le piccole dita e fregandomene del dolore che comportava, perché volevo a tutti i costi che quel dannato specchio tornasse intatto. Ma non ci riuscii. Il vetro rimase rotto e l'unico conforto che mia zia aveva di sua madre si era polverizzato come il corpo di nonna Jolene, che divenne cenere dopo la sua morte.

Ero proprio come quello specchio, forte all'esterno ma talmente fragile all'interno da rompermi per sempre.

Prima mi costava ammetterlo: temevo che confessare quanto lo fossi mi avrebbe reso una preda facile per i mostri. Poi mi resi conto che loro agivano a prescindere da ciò che io ero, perché a Colton non era mai importato se io fossi forte o no. Era partito con l'intento di farmi male ed era andato fino in fondo. E mi aveva rotta, come lo specchio di nonna Jolene, come il suo corpo che aveva smesso di funzionare a causa della malattia congenita al cuore, che l'aveva consumata fino al suo ultimo respiro e le aveva tolto l'ultimo briciolo di fiato. La vita va così, non importa quanto tu sia forte, ci sarà sempre qualcuno o qualcosa che tenterà di schiacciarti e ci riuscirà, fino a farti perdere ogni pezzettino di te stessa, fino a ridurre perfino i tuoi battiti in semplici colpi impercettibili.

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