Amelia "Mia" Parker è un'inguaribile sognatrice che abita con la sua famiglia in una fattoria poco distante dalle coste della Gran Bretagna, a nord di York. Amelia ama leggere, scattare foto e, soprattutto, ama camminare. Le lunghe passeggiate lungo...
Questa è l'ora di Piombo che ricorda chi Sopravvive, come gli Assiderati, la Neve – Dapprima una sensazione di Freddopoi lo Stupore – Infine la Resa
Emily Dickinson
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21 dicembre 2019
I guanti che mi proteggono le mani dal freddo pungente scivolano sulle maniglie della sedia a rotelle che sto spingendo, senza rimanere preda dell'attrito tra la lana spessa e la plastica ricoperta dalla pelle sintetica. L'aria gelida di questo pomeriggio di dicembre mi pizzica il viso al di sopra della sciarpa pesante, ignorando le risentite proteste della mia pelle al suo affronto.
«Si sta facendo tardi» mi avvisa Amelia Parker, inclinando leggermente il volto verso destra.
Di lei posso vedere solo il cappello nero con un pon-pon bianco che le protegge il capo e i capelli scuri, sempre più radi a causa delle chemioterapie, che escono oltre il bordo, scivolando dietro la schiena.
«Ancora qualche minuto» replico, voltando a destra e conducendo la sedia a rotelle su cui è costretta Mia.
La avverto emettere un lento sospiro, ma stavolta non le domando se ci sia qualcosa che non va. Quando ho osato farlo, meno di dieci minuti fa, ho ricevuto una risposta frustrata del tipo "Non c'è niente che va, è diverso", così evito di rendere ancora più pesante la tensione che aleggia attorno a noi e approfitto del poco tempo che ci rimane per dare un ultimo sguardo alla città vestita a festa.
Manchester è magnifica sempre, ma nel periodo natalizio lo è a maggior ragione. Un po' come tutto, del resto. Le strade sono accese dalle luminarie appese ai lampioni e dalle file di lucine in cui sono avvolti gli alberi; le ghirlande che decorano le panchine e le vetrine piene di colori accesi dei negozi si uniscono alle musiche che escono dagli altoparlanti. Ogni singolo angolo della città, dalla periferia al centro, è reso vivo e gioioso dalla festa che si avvicina, e il calore nei volti felici dei passanti che alzano gli occhi per guardare le luci strappa un sorriso anche a chi nel Natale crede ben poco. Per la prima volta nella mia vita, il Natale, invece di portarmi in dono ciò che desidero, mi toglierà presto l'unico regalo che mi fosse stato fatto. Pensieri come questo mi annodano le viscere da ieri e sono il motivo per il quale non scatterò foto ricordo da pubblicare poi in Instagram, oggi: ho bisogno di godermi ogni secondo di vita che mi rimane accanto ad Amelia Parker, prima che questa vita ci sia strappata via.
Deglutisco un grumo di saliva mentre fermo la sedia a rotelle sotto a una grossa luminaria a forma di campana. «Hai visto che belle queste luci? Sembrano esplosioni di stelle» faccio notare a Mia, ostentando un sorriso in cui io stesso faccio fatica a credere.
Il suo volto cupo, quasi grottesco, tenta di stirare le labbra in una smorfia che di sorriso sa ben poco. «Già» borbotta. Il suo tono perso tra la frustrazione, la rabbia e la sconfitta mi fa ancora una volta accapponare la pelle. Fin da quando siamo usciti dall'ospedale, stamattina, Mia non ha fatto altro che vedere il nero anche dove non c'era, sporcando quell'immagine che mi aveva sempre mostrato di se stessa, quella di una ragazza che voleva costruire armi per lottare contro il male, una ragazza con una fame di vita senza fine. Ora quella fame sembra essere totalmente cessata.