39. La bellezza e l'ignoto

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Ogni radiosa mortalità
è il Pegno della Creatura bella
in sé, che adorata prima
si rassegna per il nostro ignoto Beneficio

Emily Dickinson, 1867

Emily Dickinson, 1867

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24 novembre 2019

«Papà, come hai fatto a capire che la mamma era la donna della tua vita?».

A quelle mie parole segue un silenzio denso di emozioni di ogni sorta, rotto solo dal grosso respiro di mio padre che tenta inevitabilmente di contenere la commozione al ricordo della sua bellissima moglie. Sono quasi sul punto di scusarmi con lui per la domanda forse indiscreta, quando lo sento rilasciare un respiro e premo più forte le dita attorno al cellulare per avvicinarlo all'orecchio, come se con quel semplice gesto meccanico potessi portare accanto a me mio padre in carne e ossa.

«Era l'unica persona con cui sorridevo così tanto» ammette lui a bassa voce, come se si trattasse di una confessione mai pronunciata finora. «Con lei potevo essere me stesso senza nessuna paura di essere giudicato, e i sorrisi che facevo con lei... non li facevo con nessuno».

Deglutisco, ma il groppo in gola rimane. Lo avverto stringermisi attorno alle corde vocali, impedendomi di pronunciare alcunché, mentre il ricordo dei dolci lineamenti di mia madre mi intasa gli occhi, la mente e il cuore. Sfioro con le dita le tende della sala d'aspetto al piano terra del Mary Hall, lasciando che i polpastrelli accarezzino la stoffa il cui colore pastello mi ricorda quello dei vestiti estivi di Eveline, quelli che amava cucire da sola.

«Matthew» mi ridesta mio padre, che probabilmente doveva essersi perso nei miei stessi pensieri. «Tua madre era una creatura di una bellezza rara, da trattare con cura. Se c'è una cosa che mi ha insegnato la sua sconfinata sensibilità, è che quella bellezza andava amata in ogni sua sfumatura».

Avverto lacrime salate bagnarmi le iridi. Mi sfiorano le ciglia e restano in bilico quando scosto la mano dalla tenda e la appoggio su una gamba, stringendo la stoffa dei jeans.

«Non avevi paura di compromettere quella bellezza?» mormoro, la voce scura.

«L'ho avuta fin dal primo momento» risponde immediatamente mio padre, come se non aspettasse altro che ammetterlo. «E non se ne è mai andata. Ma ho imparato a conviverci, a capire che ne valeva la pena per poterle stare accanto».

Assaporo questa risposta, interiorizzandola, facendola mia. Vorrei che mio padre fosse qui, vorrei guardarlo negli occhi mentre gli rivelo il peso di quel qualcosa di ancora sconosciuto che mi porto dentro, mentre lo rendo partecipe dell'ignoto che si è impadronito del mio cuore, assieme a un paio di iridi color della terra...

«Grazie, papà» pronuncio in un sussurro indistinto.

«Grazie a te, figlio mio» replica lui, commosso almeno quanto me. «Avrei voluto parlartene molto tempo fa».

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