58. La mortalità e la deposizione

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L'Ignoranza è la nostra Corazza -
Indossiamo la Mortalità
con leggerezza come una Veste Scelta
finché siamo chiamati a deporla

Emily Dickinson, 1878

Emily Dickinson, 1878

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Corro.

Pensieri contrastanti mi violentano il cervello, accordandosi con un mal di testa che si sta facendo sempre più brutale, ma nonostante la pesantezza del dolore a cui il mio cranio è sottoposto, continuo a correre sul sentiero che ho percorso un paio d'ore fa per raggiungere la casa di mio padre.

La brughiera, in questo tempo, sembra essersi trasformata. Un forte vento gelido trasporta grosse nubi temporalesche da Nord, che nascondono in parte un sole sempre più pallido. Le folate sferzano il mio corpo, che ho scordato di coprire con un cappotto e che ora rabbrividisce per le basse temperature dello Yorkshire in pieno inverno. Non me ne curo e corro più forte.

L'erica è scossa dal vento, il brugo sembra sibilare, il verso di allodole ha una nota sofferente, quasi sapessero cosa è appena successo e intonassero un canto funebre in onore di una persona che per venticinque anni ha amato questa terra più di qualunque altra cosa.

Adeguo il movimento delle braccia a quello delle gambe, svoltando a sinistra in direzione dell'entroterra e della fattoria dei Parker, lasciandomi alle spalle il sentiero che porta alla baia dove sono stato ieri in compagnia di Amelia. Per l'ultima volta. Senza rendermene conto, un pianto silenzioso mi travolge con la stessa prepotenza di una tempesta nello Yorkshire, in perfetto accordo con il rumoreggiare del temporale in arrivo. I raggi del sole, quasi spenti dalla prepotenza delle nuvole, tentano di scaldare le mie membra e di trattenere lacrime che stanno per uscire, ma non riesce in nessuno dei suoi intenti. Le guance mi si bagnano prima che io trovi la forza per allungare le mani e premerle sugli occhi per impedirlo.

Al di là del dolore al capo, è quello al cuore ad assillarmi maggiormente. Lacerato, sventrato ed esposto, mi sta rendendo difficile ordinare i respiri per consentirmi di mantenere il ritmo veloce nella mia corsa forsennata verso Mia, verso la ragazza che ho stretto tra le braccia per tutta la notte, viva e calda e morbida contro di me, e che ora non si sveglia più.

I volti inorriditi di Kevin e di mio padre, non appena ho riportato loro le parole pronunciate da Abram Parker, tornano a scivolarmi di fronte agli occhi, così come i loro tentativi di arginarne le conseguenze su di me. Sento ancora le dita bruciare se ripenso al modo in cui ho scaraventato a terra il telefono, rovesciato la sedia e rotto la tazzina di caffè decorata da mia madre, spandendo il liquido marrone sulle mattonelle della cucina. Sento i piedi gemere finché li sbatto contro i sassi duri del sentiero se ricordo il mio calcio violento contro la parete di legno, che aveva incrinato due travi sotto lo sguardo sperduto di mio padre. Sento le braccia prudere mentre avverto attorno a me quelle forti di Kevin che mi stringono in un abbraccio che voleva dire tutto e niente, seguito da quello di mio padre che sperava di potermi sollevare dal peso di quel destino così orribile.

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