26. La corazza e il pericolo

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Più Mani - per trattenere -
Queste sono solo Due -
Una nuova e più corazzata Tempra
giusto concessa, a cagione del Pericolo

Emily Dickinson, 1861

Emily Dickinson, 1861

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16 ottobre 2019

Il mio polso trema leggermente mentre inserisco le monete dentro al distributore automatico che troneggia al centro del corridoio tra gli uffici e le sale riunioni. I pezzi di metallo tintinnano contro la plastica, cadendo, e appoggiando lo sguardo sulla fessura avverto il senso di oppressione al petto farsi più violento. Mentre attendo che il caffè scenda nel bicchierino, lascio gli occhi immobili sulla parete nera del distributore e mi impongo di fare alcuni respiri profondi per contenere la tensione. Filamenti di pensieri restano intrappolati tra una regione e l'altra della ragnatela sempre più fitta che si sta costruendo attorno ai miei organi vitali, per poi venire risucchiati nel buco nero che è il mio cervello da quando sono andata a letto ieri sera. Inutilmente, visto che non ho praticamente chiuso occhio.

Allungo la mano per afferrare il bicchiere di plastica e scruto il liquido scuro che lo riempie per almeno due terzi, considerando che avrei potuto selezionare un espresso perché il suo effetto fosse più immediato. Soffio sul caffè, lasciando che il profumo intenso che emana rapisca per qualche istante i miei sensi e li allontani da quella preoccupazione angosciante che mi attanaglia le viscere. Perché oggi è il 16 ottobre, e per quanto una parte di me sia felice all'idea di rivedere Matthew Ward tra qualche ora, continua a prevalere nel mio animo l'anomalo terrore che possano dargli le brutte notizie che si aspetta.

«Numero?».

Sobbalzo e mi volto di scatto, quando la voce di Carter Williams interrompe il completo silenzio attorno a me. Possibile che io non lo senta mai arrivare?

«Che cosa?» gli chiedo, mentre si avvicina a me.

I suoi capelli biondi catturano la poca luce che proviene dalla lampada a led sopra le nostre teste, mentre gli occhi verde bosco mi scrutano, magnetici e penetranti. «Numero di caffè, quanti ne hai bevuti oggi?» mi chiede, infilando le mani nelle tasche degli eleganti jeans grigi che indossa.

Le mie dita bruciano a contatto con la plastica, che si sta scaldando sempre più a causa del liquido bollente al suo interno. Passo il bicchiere da una mano all'altra mentre abbasso lo sguardo sul mio caffè, chiedendomi perché mai Carter mi abbia rivolto una domanda simile.

«Penso sia il terzo» borbotto, prima di portare il bicchiere alle labbra e di trangugiare un sorso. Il caffè scotta a contatto con la lingua, disegnando un percorso di fuoco giù per la mia gola, ma non me ne curo. Il freddo che avverto gravare su di me, causato dalla preoccupazione per ciò che avverrà tra un paio d'ore, aumenta ad ogni minuto di più.

«Notte insonne, eh?».

Alzo gli occhi su Carter, che ancora mi osserva guardingo, come fa un gatto con il topo che vuole mangiarsi per pranzo. «È così evidente?» ribatto, forse in tono troppo acido, passandomi una mano tra i capelli.

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