35. L'assenza e la mancanza

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Conosco vite della cui Mancanza
non soffrirei affatto - di altre invece
ogni attimo di Assenza
mi sembrerebbe eterno

Emily Dickinson

14 novembre 2019

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14 novembre 2019

«Anche questa parte del progetto è terminata» annuncia Rupert Smithsonian, alzandosi in piedi. Il suo volto rugoso è in parte celato dagli spessi occhiali da lettura, che toglie lentamente e appoggia sul tavolo di fronte a sé, mentre scruta i presenti alla riunione del giovedì. «Vi aspetto domani mattina alle 11 per definire i prossimi passi».

I presenti annuiscono, io compreso. Mi rendo conto che la cravatta mi stringe troppo la base del colletto della camicia bianca, così infilo un dito sotto il nodo per allentarlo leggermente e riuscire a respirare meglio.

Uno alla volta, gli uomini presenti all'interno della sala riunioni si alzano dalle sedie di mogano, si salutano a bassa voce, passano a stringere la mano al professor Smithsonian e si dileguano fuori dalla stanza. Sto per fare lo stesso, quando la voce di Joel McNamara, uno scienziato americano dal forte spirito d'iniziativa, richiama la mia attenzione.

«Matthew Ward».

Mi volto e gli rivolgo un sorriso di cortesia. «Signor McNamara» mormoro, con un breve cenno del capo.

Joel McNamara ha la pelle color cioccolato fondente, il cranio rasato e due occhi d'ebano. Il completo grigio che indossa oggi gli dona un portamento elegante che solitamente non ho l'opportunità di apprezzare, abituato come sono a vederlo in tenuta sportiva mentre corre per le strade di York per mantenersi in forma in vista della maratona di New York.

«Mi è giunta voce che vuole far domanda per il concorso».

Guardo di sottecchi Smithsonian, che sta sistemando alcune carte dentro la ventiquattr'ore e che di certo si sta trattenendo qui appositamente per udire cosa McNamara ha intenzione di dirmi.

«È quello che vorrei fare, sì» rispondo, a voce abbastanza alta perché anche l'anziano professore possa udirmi. «Una serie di fortunati e sfortunati eventi mi hanno convinto».

Joel McNamara mi scruta intensamente, passandosi una mano sulla rada barbetta che gli ricopre il mento pronunciato. «Mi piacerebbe aiutarla» rivela, facendomi accigliare.

«Prego?» chiedo, certo di aver capito male. Mi aspettavo l'ennesima ramanzina sul fatto che la mia testa è molto più sfruttata qui, in un contesto universitario, che in azienda, invece ho appena ricevuto gratuitamente una proposta di raccomandazione.

«Vede, signor Ward» inizia McNamara in tono più confidenziale, facendosi avanti, «sono dell'idea che delle menti giovani e brillanti come la sua possano rendere la biologia una scienza alla portata di molti, piuttosto che trattenerla qui per pochi eletti. Inoltre, ritengo sia indispensabile far fruttare le vostre potenzialità per avvicinarvi non solo al mondo del lavoro, ma anche a una possibile carriera futura».

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