42. Il calibro e gli artigli

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Come se uno Spirito maligno con un Calibro
continuasse a misurare le Ore -
Finché sentisti il tuo istante
pesare, inerme, fra i suoi Artigli

Emily Dickinson, 1862

Emily Dickinson, 1862

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30 novembre 2019

L'acqua scorre veloce, scivolando sulla mia pelle in tanti rivoli trasparenti e cadendo sul pavimento della doccia dove corre fino allo scolo centrale e vi entra, scomparendo alla mia vista. Resto per qualche istante immobile a fissarla mentre trascina le bolle del bagnoschiuma lungo il mio corpo e poi le trasporta sulla ceramica liscia sotto i miei piedi. Allungo la mano destra sopra il bicipite sinistro, dove la schiuma ha formato un fiore di bollicine, e le sfioro con i polpastrelli prima di guardarle esplodere sotto le gocce d'acqua e mescolarsi a essa.

Una fitta di dolore all'altezza della tempia sinistra mi obbliga a stringere forte gli occhi, chiudendo le palpebre come difesa contro un male che non può essere sconfitto. Appoggio la schiena alle mattonelle di marmo gelido, mentre il getto d'acqua calda continua a infrangersi contro la mia pelle, poi mi porto le mani sulla testa, stringendola.

Mi sono chiesto più volte come avrei capito che era giunta la mia ora, che era arrivato l'istante finale, quello in cui mi sarei sentito tra le fauci della morte, incapace di scampare alla ferrea stretta dei suoi artigli. Me lo chiedo anche ora, finché il dolore mi serpeggia lungo i nervi recettori e invia lampi devastanti al mio cervello, laddove il mostro maligno che in me si nasconde è pronto da tempo ad accogliere il peso di un calibro che presto squadernerà ogni equilibrio.

Lascio scivolare la schiena lungo il marmo e piego le gambe fino a ritrovarmi raggomitolato a terra, sul pavimento della doccia, con i piedi incollati alla ceramica, il corpo nascosto dall'acqua e la testa sempre più pesante. Con i polpastrelli premo più forte sulle tempie, sperando di poter scacciare ancora una volta il peso di quell'istante finale che tanto mi spaventa, anche se ogni volta gli attacchi sembrano diventare più feroci, più violenti, meno comprensivi.

Mi obbligo a respirare a fondo lentamente e inizio a contare i respiri successivi, quasi fossero gli ultimi prima di divenire definitivamente preda degli artigli della morte, come un animale nel bottino di caccia di un feroce felino.

Lo squillo del cellulare giunge quasi indistinto alle mie orecchie, tentando di sovrastare il rumore dell'acqua che esce veloce dal soffione della doccia. Tento di allungare un braccio in direzione del rubinetto, ma appena mi sollevo dalla mia posizione un'altra fitta mi rapisce i pensieri, costringendomi a tornare a terra, dove le mie ginocchia cozzano in avanti contro la ceramica e i miei denti si stringono forte.

Sono terrorizzato. È così che devo morire? Nascosto dentro la doccia, nudo e inerme sotto il getto bollente dell'acqua, in attesa della risposta alla domanda per la borsa di lavoro a Manchester, senza aver parlato con mio padre o aver rivisto Amelia Parker per l'ultima volta?

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