Non sento di Prigioni smisurate
abbattute da soldati, senza scuotere
le sbarre della mia - come un Bambino -
per fallire una volta ancoraEmily Dickinson, 1859
5 novembre 2019
Quando riesco finalmente a sbattere le palpebre avverto tutto il peso della pressione dell'aria che prima non mi aveva mai preoccupata, e che ora pare gravare su di me come un grosso macigno posto a qualche millimetro di distanza dal mio viso. Gli occhi bruciano come il fuoco a causa del torrente di lacrime che li ha invasi una mezzora fa.
La camera d'ospedale, attorno a me, è esattamente uguale a come l'avevano fotografata i miei occhi prima che cedessi al sonno: tutti gli oggetti sono allo stesso posto. Anche io sono sempre qui, infilata sotto queste lenzuola, con le gambe nascoste alla mia vista. La tuta di carta azzurra che mi hanno fatto indossare è più leggera di un velo, quasi non la sento. Lascio vagare lo sguardo per la stanza e noto una sola, piccola differenza: sopra al bancone blu e bianco, accanto al letto, c'è un biglietto.
Allungo una mano e lo afferro, ignorando lo smalto rovinato sulle unghie e le nocche sbucciate in cui il sangue secco ha formato una crosta sottile. La cura delle mani non è niente in confronto al male che mi sta crescendo dentro.
Strizzo gli occhi per mettere a fuoco la scritta, su un pezzo di carta strappato da un block-notes a quadri.
Dolce Mia, l'orario delle visite finisce alle 20.
Vorrei accontentarmi di averti vista, ma ero venuto per salutarti.
Se ti svegli prima che faccia buio, chiama.
Alla frase segue una firma, un nome scarabocchiato che mi stringe un grosso nodo in gola.
Prima che il mio cervello riesca ad ossigenarsi così bene da permettere a troppi pensieri di occupare il poco spazio a disposizione, schiaccio il pulsante grigio accanto al bancone. L'infermiera accorre subito. Camice bianco, coda alta, solo un filo trucco.
«Ci siamo svegliate!» cinguetta, con un marcato accento americano. I suoi grandi occhi verdi seguono ogni mio movimento. Vuole fare la simpatica, ma oggi non è giornata... In realtà, da quando so quale sarà il mio destino, non è mai giornata.
«Puoi dirlo anche al ragazzo che è passato a trovarmi?». La mia voce ha un timbro basso, tenebroso, perduto.
«Mmh, sono le otto adesso, cara...».
Sono una cretina, non ho neppure guardato l'orologio prima di chiamarla. «Per stavolta puoi fare un'eccezione?» provo. Non avrei mai osato espormi al punto di supplicarla, se non si fosse trattato di lui.
«È il tuo fidanzato?» chiede l'infermiera in tono malizioso, indietreggiando.
«No».
Mi sforzo di resettare il cervello. Il mio cuore, invece, è troppo occupato a prepararsi a incontrare quello del giovane che sta per entrare dalla porta. Quando la sua figura imponente varca la soglia, il muscolo al centro del mio petto fa una capriola.
STAI LEGGENDO
Fame di vita
RomanceAmelia "Mia" Parker è un'inguaribile sognatrice che abita con la sua famiglia in una fattoria poco distante dalle coste della Gran Bretagna, a nord di York. Amelia ama leggere, scattare foto e, soprattutto, ama camminare. Le lunghe passeggiate lungo...