40. Il freno e l'abisso

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Come i Bambini tenuti molto a Freno
si dirigono prestissimo al Mare
i cui Abissi senza nome si dileguano -
Accanto all'Infinito

Emily Dickinson, 1870

Emily Dickinson, 1870

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26 novembre 2019

«Non posso credere di essere davvero qui».

Il sorriso di Amelia Parker e la felicità di cui è intrisa la sua voce confermano ciò che i fattori Parker avevano intuito: questi due giorni vicino a casa, prima di iniziare le chemioterapie che tenteranno di allontanare un osteosarcoma sempre più aggressivo, non potranno che farle bene. Almeno, faranno bene al suo cuore.

Lily Parker, le cui trecce bionde svolazzano da una parte all'altra del suo capo mentre saltella festosa, fa una piroetta e poi prende le mani di Mia tra le proprie, dicendole: «Invece ci sei! Invece ci sei!», come se fosse l'eco in uno stadio.

Sorrido mentre le guardo andare a salutare i cavalli sul retro della fattoria, appoggiandomi alla staccionata di legno e godendomi in silenzio il sorriso sincero che riveste i lineamenti del volto di Mia.

Il viaggio in pick-up da Manchester a qui è stato lungo e non privo di imprevisti: nonostante Amelia sia imbottita di medicine, le sue gambe talvolta danno segni di cedimento, che le causano forti dolori oppure una diffusa debolezza. Inoltre, tra gli effetti collaterali dei farmaci che le hanno somministrato nelle scorse settimane ci sono nausea e vomito, cosa che ci ha obbligati a fare due soste prolungate presso aree di servizio in autostrada in attesa che si riprendesse.

«Matthew?». Mi volto in direzione di Abram Parker. «Te la senti di accompagnarla da solo?».

Annuisco. «Saremo presto di ritorno, signore».

Lui fa un sorriso, uno di quelli che un uomo burbero ma dal cuore buono sa di fare a qualcuno che li merita. «Chiamami Abram e dammi del tu, ragazzo. Ho come l'impressione che presto ci dimenticheremo queste formalità».

Con l'eco delle sue parole che mi tormenta l'anima, lo osservo allontanarsi in direzione della stalla e fermarsi qualche istante a scambiare due parole con Mia, che annuisce per poi voltarsi verso di me. Mi sorride e io le sorrido di rimando, felice di leggere contentezza e serenità in quello sguardo che nelle ultime settimane è stato così cupo.

I genitori di Mia mi hanno proposto di accompagnarla al mare. Non si tratta di una passeggiata di pochi minuti, ma i dottori sostengono che l'uso delle gambe possa giovare alla ripresa di Mia in caso le cure funzionassero, perciò dobbiamo correre il rischio; se necessario, posso sempre chiamare suo padre per un passaggio al ritorno. Così afferro la sacca che mi porge Patricia, scambio con lei un sorriso e aspetto che Mia saluti Lily, prima di affiancarmi lungo il vialetto.

«Sono così felici di avermi qui» la sento mormorare, finché chiude l'ultimo bottone del cappotto nero.

«Perché sei la loro felicità» replico controllando il contenuto della sacca: due bottigliette d'acqua, due barrette energetiche e una scatola di antidolorifici. La richiudo e me la posiziono alle spalle.

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