56. La carne e il velo

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Un'unica Vite di Carne
È tutto ciò che fissa l'Anima
Che rappresenta la Divinità, in Me,
Sul mio lato del Velo

Emily Dickinson, 1861

 Il viaggio di ritorno è silenzioso come quello di andata, quasi che un velo invisibile si fosse frapposto tra noi due, così come tra la vita di cui ancora disponiamo e la morte che ci attende

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Il viaggio di ritorno è silenzioso come quello di andata, quasi che un velo invisibile si fosse frapposto tra noi due, così come tra la vita di cui ancora disponiamo e la morte che ci attende. Né io né Mia facciamo qualcosa per cambiare la situazione, forse consapevoli che il richiamo della resa dei conti finale sta rendendo sempre più instabile il patibolo sul quale ci stiamo preparando alla gogna.

Attraverso il vialetto per entrare nel cortile della Fattoria Parker e parcheggio il pick-up poco distante dal granaio. Mentre scendo alzo gli occhi verso il cielo, in cui le nuvole si sono tinte di un leggero rosa pastello per il sole che sta calando a sud-ovest, oltre le colline.

«È il momento perfetto per uno scatto» osserva la voce di Mia, che ha aperto lo sportello e ammira assieme a me lo spettacolo che il cielo ci sta offrendo.

«Hai ragione» concordo, avvicinandomi a lei per aiutarla a scendere dall'auto.

Amelia però mi blocca, appoggiandomi una mano sul petto. Quella libera scivola nella tasca del mio cappotto, estrae da essa il mio telefono, attiva la fotocamera e me lo porge. «Carpe diem» sussurra, indicandomi il cielo che si sta accendendo sempre di più, ultimo grido del giorno prima dell'avvento definitivo delle tenebre.

Sorpreso dalla sua richiesta, sorrido a Mia e afferro lo smartphone per fare come mi ha suggerito. Alzando il dispositivo in direzione del cielo, noto che l'alto abete a lato del sentiero oltre la proprietà dei Parker offre allo scatto la quantità di buio necessaria a smorzare i toni e a definire i contorni delle distese di erica delle colline. Il sole accende il paesaggio di tonalità calde che accarezzano l'animo mentre ammiro e fotografo la bellezza in una delle ultime istantanee che rimarranno dentro questo telefono. Eppure, per quanto io possa proseguire ad ammirarne l'incanto, mi sento come se non fossi in grado di assaporarlo fino in fondo, come se vi fosse qualcosa che mi impedisce di entrarvici dentro. È la stessa sensazione che mi ha dato attraversare la brughiera con il pick-up un paio d'ore fa: la sensazione di non poter più farne parte.

«Allora, venuta bene?».

Spengo lo smartphone e mi giro ancora in direzione di Amelia, sporgendomi ad accarezzarle una guancia e a scrutarne le iridi brune. Dopo averci pensato su qualche secondo, le rivelo ciò che mi turba. «È come se ci fosse un velo tra me e il mondo» mormoro. «Come se avessi già iniziato ad allontanarmi inesorabilmente da esso, con il corpo ma soprattutto con l'anima».

Le dita fredde di Mia si intrecciano alle mie e le stringono piano. «Mi sento così da settimane» mi rivela in un sussurro roco, e la malinconia e la tristezza tornano prepotenti a sferzare il suo sguardo. «Oggi pomeriggio, la baia... è stato tutto bellissimo, perché era con te. Ma... mi sento così dannatamente distante. Incapace di apprezzare ciò che mi circonda, perché tanto so che non avrò tempo neppure di ricordarlo, non avrò tempo più per niente».

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