12. Il mantello e la tempesta

202 29 281
                                    

Un'orribile Tempesta squassava l'aria -
Le nubi erano svuotate, e scarse -
Un Nero - come di spettrale Mantello
nascose cielo e terra alla vista

Emily Dickinson, 1860

Emily Dickinson, 1860

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

25 agosto 2019

Per quanto io ami il sole d'agosto, la contea dello Yorkshire – come il Paese intero, del resto – è una terra di forti venti e frequenti tempeste. La maggior parte delle volte giungono dal mare a Est, con nubi burrascose e fulmini saettanti che sfrecciano nel cielo; talvolta, invece, ci sorprendono da dietro le colline, a Nord-Ovest, e quando travolgono la brughiera per ore l'intero mondo esterno è inaccessibile, pena l'essere trascinati via dall'impetuosità del vento e della pioggia scrosciante.

Nonostante tutte le raccomandazioni che ho raccolto da parte dei miei genitori negli anni, non sono mai arrivata a temere le tempeste al punto da non uscire quando una di esse era in arrivo. Per tale motivo, in questo pomeriggio d'agosto ho deciso di affrontare la sorte e di sfidare la burrasca prevista per l'ora del tramonto, pur di vedere con i miei occhi un'altra volta l'indomita potenza del mare in tempesta.

L'ultima cosa che metto nello zaino, dopo averlo riempito di tanti oggetti inutili che mia madre mi ha pregato di portare con me – come una corda e un taglierino "in caso ti ritrovassi in pericolo sulle scogliere" - è il cellulare, che a differenza delle altre volte porto con me. È diventata una consuetudine da quando ho conosciuto Matthew Ward.

Chiudo la cerniera e infilo lo zaino in spalla. La t-shirt leggera che indosso è dello stesso colore del groviglio di emozioni che ho nel cuore: scarlatta. Come l'erica della brughiera, in cui mi immergo dopo essere scampata alle grinfie di mio padre e alle lamentele di Lily che teme per la mia incolumità.

In effetti in direzione delle scogliere orientali, verso Robin Hood's Bay e gli altri villaggi di pescatori lungo la costa, le nubi si stanno ammassando. Sono di un grigio scuro, non ancora sufficientemente minaccioso da temerle, e so che serviranno ore prima che giungano a creare problemi a noi impavidi abitanti dello Yorkshire.

Spero che quelle ore siano sufficienti a rispondere al richiamo incessante del mare del Nord.

Cammino velocemente sul terreno instabile del sentiero, che ormai conosco a memoria. Ogni sasso o roccia è stato calpestato dai miei piedi nudi che oggi, protetti dalle scarpe da ginnastica, avanzano imperterriti e incapaci di contenere la loro felicità al senso di libertà che mi pervade tutta ogni volta che esco di casa con l'intenzione di camminare.

Sono quasi in prossimità del cartello che fa svoltare per Robin Hood's Bay quando estraggo il telefono dalla tasca dei pantaloncini e accedo alla rubrica. Il mio dito scorre sul solo contatto assieme a mia madre che inizi con la lettera M e preme sul verde prima che il coraggio di ciò che sto per fare sfumi in un lampo, veloce tanto quanto è arrivato. Per qualche interminabile istante il cellulare suona a vuoto e io ascolto quel rumore ritmico fissando intensamente lo sguardo sul cielo all'orizzonte, ancora di un azzurro accecante. Poi la voce di Matthew Ward, scura come la tempesta in arrivo e al tempo stesso fresca al pari dell'acqua del mare del Nord, mi saluta: «Ciao, Mia».

Fame di vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora