Il Tunnel non è illuminato
Con un Muro l'esistenza -
È meglio considerare
che non esistere affattoEmily Dickinson
1 dicembre 2019
Il vento è tagliente come la lama affilata di un coltello quando esco dall'auto che ho preso a noleggio. Mi alzo il bavero del cappotto e rabbrividisco per il contatto della pelle nuda delle mani con l'aria esterna, tale per cui i cinque gradi segnati sul cruscotto vengono percepiti dal corpo umano come la metà. Agitando una mano in aria per allontanare l'olezzo di gas di scarico e fogna che permea questo stretto viottolo di periferia, chiudo la portiera e con le chiavi in mano mi avvicino al bagagliaio.
«Giovanotto, non può stare lì!» grida una voce poco distante, facendomi voltare. Individuo un uomo sulla cinquantina che sta camminando lungo il marciapiede sul lato opposto della carreggiata e che mi fissa con espressione contrariata.
«Ho accostato per scaricare i bagagli» spiego, urlando per sovrastare l'ululato del vento e indicando il bagagliaio. «Cinque minuti» aggiungo, alzando una mano aperta.
«Le conviene che non diventino dieci» sbotta lui.
Sto per rispondergli quando una forte fitta al centro del capo mi fa perdere per qualche istante il senso dell'orientamento e mi obbliga ad appoggiarmi alla portiera dell'auto. Stringo forte gli occhi, tentando di impedire al dolore di assumere il controllo, ma come ogni volta che ritorna un pesante muro si profila dinnanzi a me, ostruendo il tunnel già buio che stavo percorrendo.
«Ragazzo?».
Deglutisco la bile salita in gola, improvvisamente certo che la prima cosa che farò una volta entrato nel mio nuovo appartamento sarà vomitare la colazione dentro il primo lavandino a disposizione. Sempre se ci arrivo, al lavandino.
«Ragazzo, va tutto bene?».
Una mano si stringe attorno alla stoffa del mio cappotto, facendomi spalancare gli occhi di scatto. Il movimento repentino mi causa ancora dolore, che avverto serpeggiare lungo la superficie dell'epidermide e scendere poi in profondità, mandando in tilt i nervi recettori.
«Rispondimi!» insiste l'uomo accanto a me, i cui occhi color caramello mi fissano preoccupati.
Mi schiarisco la voce, deglutisco la nausea e mi sforzo di rispondere: «È tutto okay, starò presto...» un conato mi sale alla gola proprio mentre sto cercando di comunicare allo sconosciuto che andrà tutto meglio a breve, troncando la mia frase e obbligandomi a tirarmi indietro per poi chinarmi accanto allo scarico che da sulle fogne, poco oltre il bagagliaio dell'auto presa a noleggio, e vomitare anche l'anima.
«Per la miseria!» sbotta lo sconosciuto.
Mentre rigetto la colazione, il caffè preso in stazione e forse anche la cena di ieri sera, mi abbasso il bavero della giacca e mi tiro indietro il berretto oltre la fronte, per impedire anche ai vestiti di impregnarsi dell'odore di vomito. L'acido che mi corrode la gola mi fa tossire e imprecare, finché recupero un fazzoletto di carta dalla tasca posteriore dei jeans e lo uso per pulirmi le labbra sporche. Per fortuna il temporale che sta arrivando sciacquerà via la bile e gli avanzi di cibo rimasti a lato della carreggiata. Ora devo trovare una bottiglietta d'acqua. Non ne avevo messa una comoda nello zaino?
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Fame di vita
RomanceAmelia "Mia" Parker è un'inguaribile sognatrice che abita con la sua famiglia in una fattoria poco distante dalle coste della Gran Bretagna, a nord di York. Amelia ama leggere, scattare foto e, soprattutto, ama camminare. Le lunghe passeggiate lungo...