53. La melodia e la gravità

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V'è una certa Angolazione della Luce,
i Pomeriggi d'Inverno
che opprime, come la Gravità
di Melodie di Cattedrali

Emily Dickinson, 1861

Emily Dickinson, 1861

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19 dicembre 2019

Le coperte in cui sono avvolto creano attorno a me una nuvola di calore dalla quale non vorrei mai uscire. Mi beo del torpore e mi obbligo a fare respiri profondi per non permettere alla gravità dei miei pensieri di trascinarmi in un baratro senza via d'uscita. Non ho dormito quasi mai, questa notte. Sono rientrato a casa dal Mary Hall, ieri sera, non potendo passare a salutare Amelia Parker neppure oltre il vetro della stanza in cui è tenuta in coma farmacologico mentre la tengono monitorata.

Forse è stato meglio così, questo continuo a pensare. Temo che vederla lì, in bilico tra la vita e la morte, avrebbe messo in moto una catena di pensieri nocivi. Essa mi si sarebbe avvolta a spirale attorno al capo, facendomi perdere il controllo e, forse, arrendere all'aneurisma in trepidante attesa di un mio segnale di cedimento.

Gli spifferi provenienti dalla finestra sigillata provocano brividi freddi che si rincorrono sulla mia pelle, disegnando una ragnatela che dal viso mi scende lungo il collo e si infila oltre il bordo della maglia a maniche lunghe del pigiama. Alzo più che posso le coperte e mi giro a scrutare le assi di legno del soffitto, sperando di poter concentrare lo sguardo in un qualche punto imprecisato e di distogliere l'attenzione dai problemi che torturano la mia vita. Invano.

Stringo la fronte, scelgo un trave dall'aspetto più malmesso degli altri e mi soffermo su una venatura chiara. Lì mi impongo di incanalare il mio sguardo e con esso tutta la mia attenzione, e di far spazio dentro di me per il vuoto, così da contrastare l'opprimente gravità dei miei pensieri. Proprio nel momento in cui sono quasi certo di essere riuscito a liberarmi di quel giogo, il suono di una notifica scuote il silenzio attorno a me.

Sbuffando, cerco di tenermi concentrato su quella venatura chiara in un mare di tenebra, ma una seconda notifica mi distrae definitivamente. Scuoto il capo e trattengo un ringhio frustrato, poi mi volto a cercare il telefono abbandonato ieri sera sopra il comodino. Il display illumina l'oscurità attorno, mettendo in risalto la colonna di particelle di polvere sopra il dispositivo, che afferro con una mano e porto sopra il viso, stringendo gli occhi per la forte luminosità. La abbasso e inserisco il codice, poi entro in Instagram e scopro di essere stato taggato in alcune storie di persone che non conosco. Corrugo le sopracciglia, chiedendomi cosa sia successo, ma quando visualizzo la prima storia capisco tutto. Ieri sera, durante la mia esibizione al piano al Mary Hall, alcuni dei presenti mi hanno ripreso in video mentre suonavo Children. Mi domando come siano riusciti a trovarmi su Instagram, visto che il mio profilo non è di certo dedicato alla musica.

Guardo tutti i video che mi sono stati fatti e stento a riconoscere il ragazzo seduto dietro quel pianoforte a coda. Ha gli occhi semi chiusi, i capelli completamente arruffati, il cappotto spiegazzato, le guance arrossate dal freddo e dall'emozione, le sue mani corrono velocemente sui tasti e sembra quasi che in quel rincorrersi di note che sta scrivendo lui voglia scavarsi dentro e strapparsi via l'anima. In quella melodia che ho ricreato sono riuscito ad apporre non solo la mia firma, ma quella del mio amore per la donna a cui pensavo intensamente mentre suonavo. Amelia Parker.

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