28. Il porto e il forse

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Lungo le fortuite correnti del Tempo
senza remi siamo costretti a navigare -
Il Porto un Segreto -
Il Forse una Tempesta

Emily Dickinson

26 ottobre 2019

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26 ottobre 2019

Non appena entro in ufficio dopo la pausa caffè, rilascio un lungo sospiro nel vedere che Carter ha lasciato sopra la mia scrivania un'alta pila di fascicoli freschi di stampa, che come sempre avrò io l'onore e l'onere di smistare. Una parte di me vorrebbe tornare nella sala conferenze e dirgli che stavolta dovrà essere qualcun altro a dedicarsi al tedioso lavoro di smistamento del materiale. Possibile che le due oche con cui sono costretta a collaborare non sappiano neppure riconoscere gli sponsor convenienti e quelli da scartare?

Mi avvicino alla scrivania e noto che poco distante dai fascicoli c'è una piccola zucca di plastica, con uno dei miei post-it gialli appiccicato accanto a essa. Aggrotto la fronte e faccio per chinarmi a leggere cosa vi è stato scritto quando una voce mi coglie di sorpresa da dietro.

«Hai trovato il lavoro da fare nel weekend?».

Distolgo l'attenzione dalla zucca e dal post-it per spostarla esattamente sulla persona che volevo evitare di vedere di nuovo. Carter Williams è appoggiato allo stipite della porta e mi scruta con le sopracciglia alzate e uno dei suoi sorrisi intenzionati ad accentuare il fascino che la zazzera di capelli arruffati e gli occhi verdi gli garantiscono anche da soli. Oggi veste interamente in blu e indossa un'aura di consapevolezza e sicurezza di sé talmente intensa da divenire talvolta nauseante.

«Sai, a volte sarebbe bello poter occupare il sabato e la domenica in modo diverso» ribatto, battendo una mano sopra la pila di fascicoli. «Sono quasi quattro settimane che mi ritrovo a fare le ore piccole su fogli come questi, e...».

«Credevo ci tenessi al progetto» mi interrompe Carter, che ora sorride meno e aggrotta la fronte. So perfettamente che lo sta facendo per tentare di mettermi in difficoltà, per rimarcare la sua autorità come non si stanca mai di fare.

«Non si tratta di questo, e lo sai» replico, incrociando le braccia. Lo fisso dritto negli occhi, lasciando che il bosco delle sue iridi incontri la terra delle mie e capisca che se continua a portare le sue attenzioni altrove, il nutrimento finirà.

Carter piega le labbra in un sorriso sghembo. «A cosa devo questa reticenza?».

«Reticenza?».

«Dovrei dire insubordinazione? Mi sembra esagerato».

Prendo un grosso respiro prima di lasciare uscire una rispostaccia di cui mi farebbe sicuramente pentire. «Carter, ti sto dicendo che non sono la sola a lavorare al progetto. E non si tratta di contrastare il tuo volere, io la mia parte la sto facendo comunque, ma vorrei che tu capissi che...».

«Allora stasera esci con me». Il modo diretto in cui pronuncia quelle parole mi fa sospettare che non attendesse altro che dirmele, e che abbia in realtà architettato ogni cosa in modo tale da chiedermelo senza lasciarmi altra scelta in merito alla risposta.

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