32. Il pianto e la grandezza

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Piangere è una piccola cosa -
Cosa tanto breve un Sospiro -
Ma cose di tale Grandezza
uccidono uomini e donne

Emily Dickinson, 1862

Emily Dickinson, 1862

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7 novembre 2019

Il rosso dell'uovo al centro dell'albume bianco mi fissa come un occhio spalancato mentre lo passo dalla padella al piatto. Porto la mano libera alla testa, premendo forte le dita contro una tempia. Stamattina il dolore non è ancora diminuito, nonostante io abbia già preso tutte le dovute precauzioni, e una parte di me sospetta che questo accadrà sempre più spesso d'ora in avanti. In fondo, sto peggiorando.

Dal frigo recupero il cartone del latte, ne verso in un bicchiere pulito e bevo qualche sorso. L'orologio sul forno dice che sono le sette del mattino, ma il mio corpo è stanco quasi il doppio di ieri sera, quando mi sono addormentato gettandomi sul letto vestito. Sono troppe notti che non dormo, e se le cose non cambiano dubito che tornerò a farlo presto.

Mi siedo sull'alto sgabello accanto all'isola della cucina, di fronte alla mia colazione. Mentre taglio con la forchetta un pezzo di uovo, controllo le ultime news al telefono per essere sicuro che non ci siano troppi lavori in corso, guasti o qualsiasi altro tipo di problema lungo la M62 o la M1. Stamattina Amelia Parker sarà trasferita al Mary Hall Hospital di Manchester, il centro oncologico migliore d'Inghilterra, dove inizierà il percorso di cura per l'osteosarcoma che sta minacciando di portarsela via.

Le mie dita si stringono un po' più forte attorno alla plastica del cellulare, mentre il pensiero dei suoi occhi scuri, in cui il senso di perdizione creava un buco nero di disperazione, mi fa perdere improvvisamente l'appetito.

Due giorni fa, quando l'ho salutata dopo aver trascorso del tempo con lei in ospedale, le ho promesso di non abbandonarla. Contrariamente a ciò che io stesso le avevo chiesto poco più di una settimana fa, in riva al mare del Nord, non mi allontanerò da lei, e non allontanerò lei da me.Ci unisce lo stesso dolore, la stessa sorte.

Il mio pollice continua a scorrere gli articoli sui quotidiani online, ma nonostante io tenti di forzare il mio cervello a rimanere concentrato, i miei occhi sono fissi sul legno dell'isola della cucina, lo stesso sul quale due settimane fa la mia mano e quella di Mia si sono intrecciate, inconsapevoli che presto un nuovo peso sulla bilancia avrebbe stravolto completamente l'equilibrio.

Il telefono mi vibra in mano. Controllo di chi sia il messaggio appena arrivato e non posso evitare alle mie labbra di aprirsi in un sorriso quando vedo che il mittente è Mia. Entro nella chat per visualizzarlo, ma non faccio in tempo a leggerlo che il cellulare ricomincia a vibrare ripetutamente e la foto di un contatto che conosco fin troppo bene invade lo schermo. Jane.

Conto fino a tre, perché vorrei davvero leggere se Mia mi ha scritto come sta oggi, a che ora posso passare in ospedale o qualsiasi altra cosa le sia passata per la testa. Alla fine ha la meglio la vibrazione insistente e rispondo alla chiamata. «Pronto» dico, finendo di tagliare il resto dell'uovo sul piatto e bevendo un altro sorso di latte.

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