11. La danza e la fuga

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L'anima ha momenti di Fuga
quando sfonda ogni porta -
Danza come una bomba, là fuori
e oscilla sulle Ore

Emily Dickinson, 1862

Emily Dickinson, 1862

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22 agosto 2019

Un'ape ronza attorno a me per poi posarsi su un fiore giallo, quello che volevo cogliere per aggiungerlo al mazzo che stringo tra le dita. La osservo mentre si aggrappa ai petali per poi infilarsi tra i pistilli e succhiare il nettare dolce, portandolo via con sé nel momento in cui si alza nuovamente e va a cercare un altro candidato per quel giorno di lavoro.

Sfioro con le dita lo stelo del fiore, dello stesso colore del sole che è in procinto di spuntare oltre le colline a Levante, e decido di lasciarlo lì, insieme ai suoi fratelli, in quell'angolo di prato che pullula di vita.

Inspiro a fondo l'aria pulita e fresca di questo mattino d'agosto, il mattino dei miei venticinque anni. I primi a farmi gli auguri sono stati gli uccellini che cinguettando mi hanno accompagnata nella mia passeggiata mattutina fino al prato, da dove amo osservare l'alba. C'è una pace infinita.

Qui si perde il conto dei minuti, qui la vastità del cielo si spiega in tutta la sua bellezza e ci si smarrisce nelle sue sfumature, che dal violetto stanno ora virando al rosa.

Il mazzo di fiori che stringo tra le dita emana un profumo che a tratti stordisce. Li porto accanto al naso e mi lascio travolgere da quella fragranza, che racconta storie di vento, sole, pioggia e incanto.

Dalla tasca degli shorts di jeans recupero uno dei lacci con cui ieri stavo tentando di legare il giovane albero da frutto che mio padre ha comprato domenica in città, e lo uso per accostare tra loro gli steli dei fiori e poterli trattenere l'uno accanto all'altro. Sembra si stiano abbracciando, e questo pensiero mi fa sorridere.

Avanzo di qualche passo per raggiungere il punto più alto, arrivando al limitare della proprietà dei Parker, segnato da una staccionata di legno. Alla mia destra, poco distante, parte un sentiero che scende lungo la collina per poi attraversare la brughiera verso Sud-Est, fino a raggiungere la costa.

«Buongiorno, Amelia».

La voce distante di mio padre mi sorprende e mi fa voltare. Lo vedo appoggiato al tronco dell'ultimo pino, accanto al sentiero che conduce al prato. Indossa una camicia a quadri scozzese e un paio di pantaloni rattoppati più volte.

«Ciao, papà».

Lui alza gli occhi in direzione del cielo. «È quasi l'alba» dice, lasciando correre lo sguardo sull'enorme distesa rosata che ci sovrasta.

Sorrido. So che con questa frase intende dire che tra poco saranno le sei, ora alla quale un mattino di venticinque anni fa io ho pianto per la prima volta. Lo so perché ogni anno lui è il primo a svegliarsi, per poter dare da mangiare agli animali nella stalla e innaffiare l'orto, e il primo a ricordarsi del mio compleanno.

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