Un dovere

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ALFIERE

Le nuvole nere arrivano immediatamente.

Ho dormito qualche ora, e appena sveglio eccole - maestosa manifestazione dell'animo del Supremo - coprire il sole nascente. Rimarranno per tutta la giornata, in perfetto allineamento, a ricordarci la sua presenza sopra noialtri.

Prendo il cavallo mentre gli altri ancora dormono e mi dirigo a Hosgrave, gli zoccoli battono sul terreno e il rumore pare amplificarsi nelle strade vuote, richiamando i tuoni. Le mura delle ricche case mi corrono accanto, impregnate dall'oscura luce.

Oggi il destino si scrive.

***

Le chiavi tentennano ai sussulti causati dai miei passi veloci. Devo fare in fretta, se voglio che tutto vada come pensato. Scendo le scale delle segrete, il freddo umido mi sferza le guance e mi chiedo come facciano i prigionieri a restare vivi dopo una notte qui.

Al bivio, blocco nel pugno il chiasso del mazzo. Guardie. Due, entrambe con la testa calata sul petto a russare come porci. Ingrate, penso con un sorriso cinico. Dopo anni di lavoro ai piedi della regina, non hanno capito che la condotta da tenere a Palazzo è una, e una sola.

L'attenzione. Senza questa, qui duri quanto l'interesse dei cortigiani verso qualcosa: poco.

Non ho moralità, secondo Diana. Forse dovrei sentirmi in colpa, ma lei non sa. Se sapesse di questo cosa mi direbbe? Una volta concluso, spero che le sarà tutto chiaro.

Perché adesso si apre l'ultima danza.

Torno alla cripta, l'ingresso distrutto da Diana. «Stanno dormendo» sussurro piano. «Tu ti occupi di una, io dell'altra».

«Dobbiamo ucciderli?» squittisce Mylai, prendendo la borsa posata sulla tomba di Uryl.

«No» rispondo, ovviamente. Fatico a credere che una persona del suo rango possa essere così stupida. «Stenderle».

Faccio aderire la pianta delle scarpe lentamente al pavimento, i detriti sotto scoppiettano dove doveva esserci il portone. Ci avviciniamo alle guardie. «Piano» mimo con le labbra. Attacco le chiavi alla cinta, poggio delicatamente la mano sulla tempia della mia guardia e spingo la testa contro il muro accanto. Apre gli occhi un attimo prima di rendersi conto che ormai è troppo tardi. Sbatte contro le rocce, dipinte da qualche goccia di sangue, poi spingo il corpo a terra, tramortito.

Mi volto, Mylai non ha fatto esattamente ciò che gli avevo detto, ma con una gomitata anche l'altra guardia rimane svenuta sulla sedia. Più pulito, almeno.

Sgancio le chiavi delle segrete, ed è come se fossero cibo per l'animale più affamato del circo. «Era ora» gracchia una cella. «Credevo che il conte non sarebbe più venuto».

Sono in molti a diffidare da me. Fanno bene. Il destino sa essere crudele, e i suoi servitori lo sono altrettanto. «Si arriva sempre nel momento adatto» cantileno.

Mylai fa dei passi più lunghi per arrivare prima. «Madre!» esclama, attaccandosi alle sbarre arrugginite. «Sono dispiaciuto per ciò che è accaduto».

«Non è detta l'ultima parola» taglia corto Althea. «Svuota la borsa».

«Sì, sì» fa lui. Apre il sacco che ha con sé ed esce un vestito con un mantello lungo.

Mi avvicino alla cella e inserisco la chiave; roteando il meccanismo la serratura scatta e si apre, facendo scivolare la grata. «Dobbiamo sbrigarci. Mettiti il cambio in fretta».

Mylai glielo porge e si volta, dandole le spalle. Il mio sguardo scorre sulla sua pelle raggrinzita, scorticata e rossa, senza nascondere l'ovvio disgusto che provo.

«Tutti invecchiamo, caro. E prova a indossare l'abito avvelenato per una notte intera» sbotta. «Adesso girati».

Lo faccio. «Dimentichi con chi parli, Althea».

Lei non risponde.

Mi viene naturale domandarmi come si comporterebbe Diana se sapesse chi sono. Sarei stato umiliato da lei ugualmente o mi avrebbe temuto? Non ti ha umiliato. L'hai spinta ad allontanarsi.

In ogni caso, adesso si regolano i conti.

«Figlio mio» dice la regina madre. «Devi scomparire finché tutto non sarà finito. Tocca a me e Vaelian riportare il giusto equilibrio, tu hai fatto ciò che dovevi. Tu farai ciò che dovrai».

Mi irrita sapere che non sarà più sotto il mio controllo nelle prossime ore. Mi viene il dubbio se sia giusto proseguire così, ma le istruzioni di Khrò sono precise.

Mylai china la testa, prende la mano di Althea e sento lo schiocco delle sue labbra sulle nocche. «Un piacere, madre».

«Un dovere» finisce lei.

***

All'inizio della giornata Hosgrave è vuota. I nobili odiano alzarsi la mattina per continuare le loro monotone vite, e i servi sanno che se entrassero all'alba nelle loro stanze rischierebbero il loro posto. E dopo ieri sera, molti avranno paura di lasciare le loro tiepide stanze. Quindi, quando io e Althea c'incamminiamo per i corridoi nessuno ci ostacola. I pochi rimasti in piedi dopo la festa - andata male - non fanno caso a una donna con i capelli grigi sotto il cappuccio, né al consigliere che incontrano tutte le mattine.

Arriviamo nell'area degli appartamenti della regina, la porta chiusa e sorvegliata da due guardie.

«Devo vedere la regina, lasciatemi passare».

Entrambe raddrizzano le loro lance. «Chi è lei?»

Althea fa qualche passo avanti, la testa abbassata per non farsi riconoscere all'istante. Deglutisco la saliva in eccesso mentre mi faccio di lato, intuendo ciò che sta per accadere.

La guardia allunga il braccio, ma lei scatta e glielo blocca. Mi accorgo della striscia di sangue vicino al suo gomito. Con l'altra mano si sfila il cappuccio, lasciandosi guardare in faccia. «Io sono Althea Wyllin, profani».

Spinge via il braccio del cavaliere, e il tessuto segue il movimento, attorcigliandosi sull'armatura. L'altro impugna la lancia, io gli metto una mano davanti agli occhi e richiamo il flusso vitale che mi turbina nelle vene, vibra nella collana smeraldo. Il respiro della guardia mi si condensa nel palmo mentre attiro l'aria dei suoi polmoni, la fiamma che lo mantiene vivo.

E lo spengo lentamente.

Mentre la mia guardia cade sulle ginocchia, Althea stritola il metallo che protegge il suo bersaglio e spinge la seta nella sua gola per soffocarlo. Lui si dimena, si contrae.

Poi anche lui viene meno, perdendo forza. Non ho idea se sia svenuto o morto, ma Althea lo solleva in aria e lo butta via come se fosse un sacco di farina.

«Inetti» dice, strofinandosi le mani sulle gonne. Afferra il pomello della porta, la manica serpeggia sulle dita e lo avvolge.

Tira, e questo salta.

La porta si apre.


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