Al lago

49 7 3
                                    

PEDONE

Nella mia mente, vorrei rintanarmi in un luogo sicuro dove nascondermi dal mondo: è questo che visualizzo, mentre i piedi seguono una traiettoria che non sono io a decidere. Non vedo dove sto andando, proietto nelle traverse dei corridoi ricordi della mia vecchia casa. Le rovine, le dita di mia nonna Catrine che mi sfiorano le tempie.

Non fidarti.

Quando mi trovo davanti a quella porta, busso come se fosse un'esplosione che sfoga dalle nocche a riportarmi qui e ora; e dietro lo spiraglio, Eiden. Sono qui. «Ho usato i poteri».

Tre giorni fa il suo petto si è ricucito, il sangue gli ha riempito le arterie allo stesso modo in cui ho mosso quella forchetta. Cos'altro posso fare? Mi sembra di spiare la vita rubata di qualcuno che sto rimpiazzando, sono dentro i suoi occhi ma lui non c'è più, cancellato in quel momento.

Eiden spalanca la porta e sorride, gli occhi luminosi. Vivo. Io gli ho salvato la vita, ma sarebbe dovuto morire lì, sul campo, secondo il destino. Questo fa di noi degli errori.

Però lui è davanti a me. Me lo ripeto.

Smette di sorridere. «Che cosa stai pensando?»

«Mi fai entrare?» Cala il braccio dallo stipite, spostando il busto di lato per farmi passare. Entro e chiude la porta, il suono mi fa venire in mente la sedia che cade ma queste mura ristrette mi fanno sentire confortato, l'odore mi è familiare e addolcisce il peso al petto.

Elania mi ha dato dell'inutile. Non è più così. «Lei non si è pentita» gli dico. «È mia madre, e mia madre non è lei».

«È passata la corona».

O è una strategia. Ognuno ha le sue motivazioni. Quali sarebbero per comportarsi così? L'amore di una madre non può essere soffocato per delle motivazioni, ma a quanto pare una regina è una madre. Il seme Wyllin, secondo Althea. Allora non si tratta di amore, di legami: è potere anche lì, è paura e gerarchia.

Il sangue non fa una famiglia.

«La corona, la corona...» mormoro. Io ed Eiden abbiamo immaginato per mesi possibili scenari che sarebbero potuti accadere una volta qui. Nessuno era a questo livello. Una guerra, la mia vita, Diana. E mai avrei creduto che mia madre mi avrebbe accolto così, senza emozione. Semplicemente, non le è importato. «Sono solo un'occasione» continuo, la voce non echeggia come nella mia stanza e lo preferisco. L'armatura montata in un angoletto riflette le fiammelle nella corazza argentata. Mi scruta, vuota. «Noi stiamo facendo la stessa cosa».

«Per una causa diversa. È il contesto che conta, Jer» mette le braccia dietro la schiena, scivolando sul legno della porta fino a sedersi, le ginocchia piegate. «Non puoi ritirarti».

«Infatti. Morirei» replico, tastando il petto dell'armatura. Liscia. «Hai ragione. Solo che mi sembra così sbagliato». Lo era anche prima, quando la dinastia reale ha oppresso il popolo, legandolo all'altare sacrificale sporco delle ceneri di una famiglia per un potere illimitato. Non è naturale. Adesso sembra ingiusto arrivare a questo punto.

«E quanto sarebbe sbagliato se non facessimo nulla?» è retorico e mi sembra di ascoltare Clara con i suoi ribaltamenti della frittata. Stare insieme per così tanto tempo ci ha influenzati e mi viene da ridere. Come avrei mai pensato di poter influenzare il principe di Escados? «Tanto tempo di scelte errate...»

«Devono causare una scossa equivalente» concludo, rimandando al nostro accordo ormai tacito. Faccio cadere la mano dall'armatura e la lascio ondeggiare in cerca di altre distrazioni. «Lo so».

DARK CROWNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora