Non fidarti

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PEDONE

Non fidarti.

Ho queste due parole incastrate nella mente, e oggi più che mai continuano a rimbombare, trasformando qualsiasi suono al loro ritmo. È come cercare di afferrare l'ombra di un corpo che non esiste, allungo le dita verso quelle di mia nonna prima che scompaia ancora per l'ultima volta. «Jeremy, non fidarti».

Proietto nei miei pensieri immagini che mi sono rimaste impresse grazie a lei, Catrine, una toccamente. Ma davanti a me non c'è nulla del genere, e quando me ne accorgo ripiombo con i piedi sul legno annerito di questa catapecchia. Mi appoggio all'unico foro sul muro che lascia entrare aria e luce, riuscendo a scorgere la causa di tutto questo rumore. Festeggiano e ballano inutilmente per una questione che non li tocca, lì fuori. Lo fanno per quelli che minano alle loro stesse vite. Finiamo nei campi di battaglia per re e regine. Ho sempre pensato che siamo delle bestie con i paraocchi: questa è l'evidenza. Li ho visti inveire, maledire e imprecare dietro l'oro dei nobili, e io ridevo. Ma ora non è più così importante: promettono il mondo, il benestare, e il popolo si convince che riusciranno davvero ad assecondarci. E così tutto si cancella.

Il problema è che succede sempre. Quando una cosa succede sempre non ha più rilevanza. Ci si abitua.

Apro la sacca che ho lasciato sulla brandina e infilo una maglia con fin troppa foga.

La porta dietro di me cigola. «Ho visto... Un gufo appoggiato all'oblò...» ansima. «Alla fine eri tu».

Clara è appoggia allo stipite, i capelli mori appiccicati dalla birra sulla guancia. Fortuna che li porta corti. «Respira».

«Lo faccio sempre, altrimenti sarei morta» risponde, aspettandosi una mia risata che non arriva. Non ho voglia, e lei lo sa, per questo è arrivata qui correndo con la battuta pronta. «Sembri triste» fa lei, entrando nella mia stanza.

«Tu puzzi».

«Allora mi farò un bagno prima di partire con te» ribatte. «Ma tu non puoi lavarti via. Stai bene?»

Rilasso le spalle e ruoto il collo, alcune ossa scrocchiano. Sposto la sacca piena delle cose che ho deciso di portare per il trasferimento e mi siedo, facendo posto anche a Clara. «Sto bene. Però se me lo chiedi ancora diventa difficile» dico, osservandola dal basso. Adesso è lei la più alta, e mi accorgo che ha dei pantaloni neri stretti che le risaltano le forme. Ultimo giorno qui, forse voleva lasciare qualcuno con l'amaro in bocca. Si guarda ma non si tocca, dice sempre lei.

Afferra i lacci della bisaccia e sgrana gli occhi. «Leggera».

«Non sono legato».

«Non sei una donna» ammicca, sedendosi al mio fianco. «Perché non sei venuto giù?»

Mi viene da ridere. «A te importa davvero se Escados si allea con Timeeria? Che Pyros e Wyllin si uniscano? Neanche conosco i reali di Timeeria, per quale motivo ora dovrei essere felice?» Poi indico il raggio che si posa sul pavimento. «E non mi va di bere di giorno».

«O è per quella cosa?»

«Quale?» rispondo, stringendo la mascella. Lei mi guarda negli occhi e mi fa sentire a disagio, non perché mi irrito se tocca nuovamente quel discorso, ma perché mi ricorda che sono l'unico a qui a Escados o nel resto del mondo ad avere gli occhi uguali. Verdi entrambi. Allora sono io ad abbassare lo sguardo anche se non dovrei.

«Oggi. Undici anni fa» dice lei, piano.

Tre parole che mi artigliano le palpebre e che vorrebbero strapparmi le lacrime non versate oggi. Undici anni fa.

Undici anni fa mio padre è morto. Nello stesso giorno mia madre Freya è scappata con mia sorella senza mai più tornare. È facile darle per morte, ed è in questo che confido: se fossero vive non mi spiegherei fin troppe cose, e preferisco non pensarci. Ho diciassette anni, non più sei; il passato è così lontano che non sembra reale. Me lo dico sempre, è quasi un mantra, e voglio finire per crederci davvero.

«Non è per quello, Clara» tronco. Mi alzo dal letto e vado ad aprire l'armadio solo per darle le spalle, perché ho già preso ciò che mi serviva.

Resta in silenzio per qualche istante, lasciando spazio al chiacchiericcio indistinto di fondo e allo scricchiolio del letto. «Comunque a me piace bere, non i Wyllin».

Mi esce uno sbuffo dal naso, dopodiché scoppio a ridere e lei insieme a me, finché non scemano pian piano. «Forse ne avrei bisogno anche io» dico, prendendo un respiro profondo. «Poi è l'ultimo giorno in questa gilda» scrollo le spalle, avvertendo una sorta di pressione alle budella. È l'ultimo giorno in questa gilda perché Althea Wyllin ha chiesto di te.

Non ti fidare.

«Ogni occasione è buona per festeggiare!» esclama Clara, alzandosi dal materasso. Porta in alto le braccia e stende la schiena. «Andiamo?»

«Hai già finito di prendere le tue cose?» lei annuisce, facendomi segno con la testa di scendere giù.

Qualcuno bussa alla porta aperta. «I cavalli sono pronti» dice Astrid. Lei mi ha insegnato a dare qualche pugno, qui. «Althea vi sta aspettando a Timeeria».

Non fidarti.


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