Verità

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PEDONE

«Benvenuto nella Gilda».

Il nero scompare nell'immediato con la martellata fredda di questa voce che mi irrompe nei timpani, sostituendosi con un tetto marmoreo sopra di me, i raggi mattutini filtrati dalla finestra.

Muovo un braccio senza alcun risultato, mi alzo forzando la schiena ma rimango incollato sul letto, più mi muovo e più qualcosa mi stringe i polsi e la gola. Con la coda dell'occhio vedo cose strisciarmi sul corpo. «Cosa sono?» boccheggio, la gola che brucia.

La donna è al confine del mio campo visivo, vedo solo i suoi capelli bianchi. Dov'è Clara? Provo a ruotare il collo per guardare il resto della stanza, ma qualcosa mi serra sul cuscino.

«Nulla di che, caro» la sua voce è limpida ma polverosa, arrogante. «Se ti muovi, però, non si limiteranno a legarti» mi avvisa, indicando la mia posizione. Il suo dito mi passa davanti, è raggrinzito e pieno di anelli dorati, lo smalto arancione. Lei?

Rallento i miei movimenti. «Dov'è la mia amica?»

«Amici?» buffoneggia. «Non si hanno amici, ma persone di scarsa importanza che si possono rivelare utili» argomenta dura, prendendo una pausa. «Dovresti cominciare a ragionare così». Rotea il palmo e sento che ho più spazio per muovere gli arti. Faccio una prova spostando una gamba dolorante, ma riesco a sopportarlo. Mi metto a sedere sulla brandina, i polsi sempre legati da questo nastro. Osservo la donna, e noto i capelli sono attorcigliati con qualcosa che si muove, simili a serpenti di tessuto. «Questi? Sono i miei tesori, li ho creati appositamente per i miei capelli. È seta, la mia seta» specifica, mostrando i denti in un sorriso più velenoso del potere di Clara. Gli occhi sono castani ma emanano ghiaccio sulla pelle vellutata. Sarà sulla sessantina, ma sembra non volersene capacitare.

«Dov'è?» ripeto, e mi faccio forza. È lei. È la Gilda.

Socchiude gli occhi, divertita. «Dovresti stare attento a come ti comporti, Jeremy. Ho cresciuto dei monarchi con questa seta» è una minaccia la sua, e devo ricordarmi che sono io a essere dalla parte affilata del pugnale. Che io mi sono messo in questa parte. «È qui, nella gilda» fa con sufficienza per farmi stare zitto. È salva.

«Hai cresciuto dei monarchi?» riprendo, evitando di parlare di Clara. Se ne parlo troppo e facessi qualche mossa sbagliata, sarebbe lei a caricarsi le conseguenze. È un modo di agire subdolo, il loro. Quello della gilda. «Sai chi ci ha attaccati?»

Muove su e giù la testa, piano e controllata. «Il mio nome è Althea Wyllin» sorride, slegandomi i polsi. «Dovresti conoscermi».

«Lo so» ribatto adagio. Chi non ti conosce?

Fa roteare l'anello al dito. «E allora perché me lo chiedi?» muove le labbra come se tenesse un segreto taciuto ma visibile. «Vi ho fatto attaccare io, caro. Preferisco che i miei adepti siano resistenti, non delle pezze: meglio che moriate prima di cominciare, che dopo» dice. «Non amo sprecare tempo. Mettiamola così, l'incidente è una prima prova. E soprattutto» si avvicina al letto senza far cadere lo sguardo dai miei occhi, «non mi fido. Non conosci la strada per arrivare fin qui finché non deciderò io se fartela conoscere».

Ci metto un attimo per focalizzare queste assurdità. Tutti i dolori che incidono nel mio corpo, il rischio di morire, tutta colpa sua. «Perché una Wyllin dovrebbe fare così?» mi sembra stupido quando lo dico, anche se lo penso. Loro hanno i poteri, hanno tutto. E forse questa è la risposta: noi non abbiamo niente, non valiamo niente.

Tu non vali niente.

«Non una Wyllin. La regina madre, ma evitiamo i convenevoli e le domande stupide» sembra quasi un ringhio. «Spero che essendo cresciuto nei sobborghi di Escados tu non sia un ignorante» alza le spalle. «Molti lo sono per venire qui».

DARK CROWNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora